L’urlo di Trump terrorizza il politicamente corretto
18 Marzo 2016
Rimandiamo a un’altra volta il discorso sullo “stile Trump” inteso come estetica della politica, capello svolazzante, Melania e Ivanka al fianco, villone a Palm Beach: tutte cose che inorridiscono l’intellighenzia. Mai però quanto i messaggi lanciati dal Don. Stiamo sullo stile Trump in politica, la ventata di novità che ha portato dentro il partito repubblicano e la tempesta scatenata nell’odierno e asfittico panorama culturale dominato dal politicamente corretto.
Dopo che Trump ha fatto l’ennesimo filotto strappando pure la Florida al rivale Rubio (che intanto abbandona le primarie), ogni ora che passa lo stile Trump spaventa sempre di più i repubblicani, l’establishment del partito, quelli che dai tempi di Nixon continuano a inseguire il mito della vittoria grazie a candidati “moderati”, puntualmente sconfitti alle elezioni. Ford subentrò a Nixon, è stato l’unico inquilino a non essere stato eletto alla Casa Bianca, e in seguito perse la sfida con il democratico Carter. Bush Padre fece un solo mandato. Dole, McCain e Romney vennero sconfitti malamente.
Chi ha vinto è stato Reagan, che ha segnato un’epoca, Bush Padre sull’onda di Reagan e Bush Figlio che si è lasciato dietro un partito spaccato. Trump e Reagan sono diversissimi, ma Reagan fu il presidente che in piena Guerra Fredda definì l’Unione Sovietica l’“Impero del male”, altro che muro al confine con il Messico. All’inizio della sua lunga corsa verso la Casa Bianca, durante le presidenziali del ’76, Reagan aveva contro praticamente tutto l’establishment repubblicano, come succede al Don.
Questo non vuol dire che in America vincono i candidati più a destra: Trump non è di destra, almeno non quanto l’unico vero sfidante del partito rimasto in corsa, Ted Cruz. "The Donald", se mai, esonda occupando l’intero spettro politico, sovrapponendosi al socialista Sanders su tanti aspetti come protezionismo e isolazionismo. Se vogliamo spiegarci il suo successo, allora, bisogna guardare ad un altro aspetto della nostra società che va oltre gli schieramenti politici.
Trump spaventa i candidati “manchurian”, teleguidati dal vertice dei partiti, ma la vera cifra del suo stile è terrorizzare il politicamente corretto, lo zeitgeist, il pensiero comune para-progressista. Non avendo bisogno di grandi lobby per dire ciò che pensa, questo signore miliardario manda in bestia il potere politico-mediatico, quell’atteggiamento sempre pronto a non urtare le “sensibilità” altrui anche se ad essere limitata è la nostra libertà di parola. Trump non accetta il diktat per cui in nome delle minoranze rumorose si possa “bullizzare” la maggioranza silenziosa. Il Don fa emergere dunque i condizionamenti che l’ideologia politically correct esercita sui media e nella società attuale.
Fin dove si è spinto il politicamente corretto? Troppo oltre, diventando un’arma che viene usata per modificare o distorcere le visioni del mondo alternative a quella imperante, incasellando chi esce dai ranghi, ostracizzando in base a tutta una serie di categorie chi prova a spezzare il paradigma esistente, misogino, razzista, guerrafondaio, islamofobo, fascista e baciapile, una polveriera di essenzialismi che determinano o meno l’accettazione mediatica di un personaggio in pubblico; quel galateo del pensiero unico che va ossequiato pena l’esclusione dai salotti degli intellos.
Invece di cospargersi pubblicamente il capo di cenere come ci si aspetterebbe e come vediamo fare in continuazione anche dalle nostre parti, Trump segue una strategia del tutto opposta: risponde polemicamente a ogni rimbrotto, rilancia in continuazione la posta, esagera almeno quanto fanno i guardiani della correttezza politica. Minaccia la sinistra dopo che i fan di Sanders, dice lui, sono andati a rompergli le uova nel paniere, interrompendo i suoi comizi con la violenza. Minaccia anche la destra, evocando scontri di piazza se non otterrà la nomination, perché “milioni di americani sono dalla mia parte”. Ecco, appunto, Trump spiana tutti.
Anche i potenziali amici, come sta facendo con Fox News, aggressiva rete conservatrice. Per la seconda volta in poco tempo, il miliardario ha dato forfait annunciando che non si presenterà al dibattito di lunedì prossimo su Fox, perché “non ne posso più di queste conversazioni dove si ripetono sempre le stesse cose”. In precedenza aveva fatto anche meglio, saltando un altro incontro televisivo fissato dalla rete e aggiungendo, diabolico, “tanto, senza di me, perdete una montagna di dollari”.
Questo stile da ultras ha un che di liberatorio per la gente che sta a casa e non ne può più del “teatrino della politica”, come lo chiamava qualcuno. Trump scavalca le mediazioni del sistema comunicativo, rovescia come un calzino i poteri forti (essendo anche lui iscritto al club) e terrorizza benpensanti di destra e di sinistra ristabilendo un rapporto diretto con gli elettori. Non è chiaro se sia proprio il massimo della democrazia, certo è qualcosa di nuovo rispetto alla melassa stile matrix in cui siamo immersi, dove devi tenere a freno la lingua, non usare mai certe parole e in definitiva non dire fino in fondo quello che pensi.