M.O. Moratoria delle colonie, Netanyahu chiede moderazione

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M.O. Moratoria delle colonie, Netanyahu chiede moderazione

26 Settembre 2010

In attesa della mezzanotte, qundo scadranno i 10 mesi di moratoria delle costruzioni negli insediamenti ebraici cisgiordani, oggi le ore sono trascorse in Israele e nei Territori palestinesi in un clima di grande nervosismo.

Dal premier Benyamin Netanyahu è partito un appello rivolto ai coloni – col dito già sulla chiavetta di accensione dei motori dei bulldozer – e ai partiti alleati perché diano prova "di moderazione e senso di responsabilità", visto il momento politico delicato.

Gli sforzi della diplomazia internazionale, degli Stati Uniti soprattutto, per trovare una soluzione di compromesso tale da permettere ai leader israeliani e palestinesi di scendere dalla sommità degli alberi su cui si sono assisi non sono sembrati avere successo.

Il ministro della difesa israeliano Ehud Barak – non si sa su quali basi – ha detto di ritenere che vi sia il 50% di probabilità che alla fine si trovi una soluzione che permetta la continuazione delle trattative. Il premier israeliano, sottoposto alle pressioni di coloni, di partiti della coalizione e di forze all’interno dello stesso Likud (il suo partito) non ha annunciato – come esigono i palestinesi e come chiede la maggior parte della comunità internazionale compresi stati dichiaratamente amici di Israele – il proseguimento della moratoria per evitare una spaccatura nella coalizione e una probabile crisi di governo.

A parte l’appello ai coloni, Netanyahu ha scelto la linea del silenzio. Il presidente palestinese Abu Mazen (Mahmud Abbas), prigioniero delle sue ripetute dichiarazioni che i negoziati di pace con Israele, ripresi da appena un mese dopo due anni di interruzione, non continueranno "se comincerà anche la costruzione di una sola casa" negli insediamenti, ha dal canto suo trovato una via di fuga scegliendo di rinviare il problema al comitato di guida della Lega Araba. Questo, su richiesta di Abu Mazen, si riunirà perciò all’inizio di ottobre (probabilmente il 4) al Cairo per concordare una posizione.

Ma nel frattempo pressoché l’intera galassia politica palestinese, oltre all’opposizione scontata dei movimenti islamici, si è sollevata contro i negoziati senza proroga della moratoria. Perfino uno degli esponenti politici più moderati di Al Fatah, come Sufian Abu Zaida, si è espresso in modo apertamente ostile al proseguimento dei colloqui, accusando Israele, in un’intervista alla radio pubblica israeliana, di essere in malafede. Dicono i palestinesi: condurre negoziati con Israele mentre lo Stato ebraico nel contempo continua a costruire e a ingrandire gli insediamenti è come negoziare sulla spartizione di una pizza mentre una delle parti continua a mangiarla.

Il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (Fplp), seconda tra le organizzazioni che aderiscono all’Olp, ha annunciato di aver sospeso la sua partecipazione al comitato esecutivo dell’organismo per protestare sia contro i negoziati diretti con Israele sia per il modo in cui le decisioni vengono prese nei fori dell’Olp. In Israele accanto alle voci di chi, come il presidente Shimon Peres, esorta a fare di tutto per evitare una crisi che potrebbe essere molto pericolosa, si sono sentite forti e chiare anche le grida dei rappresentanti dei coloni e della destra militante: per loro la moratoria è finita e non sarà mai più ripetuta.

"Abbiamo atteso – hanno detto – dieci mesi e da domani mattina riprenderemo a costruire dappertutto". L’esortazione di Netanyahu a dar prova di senso di responsabilità non ha apparentemente avuto effetto: già nel pomeriggio di oggi in alcuni insediamenti si sono svolte cerimonie di posa della prima pietra di nuove case sotto i riflettori di reti Tv di tutto il mondo.