M5S-PD, quella (possibile?) alleanza che sa di “nuova sinistra”
03 Maggio 2019
Il MoVimento 5 Stelle e il Partito Democratico si annusano. Considerato i tempi che corrono, non potrebbe essere altrimenti. “New Left”, durante gli anni della contestazione, è stata una definizione buona per coloro che volevano distanziarsi dall’ossessione dell’operaismo, partendo da sinistra. Adesso vuol dire reddito universale di cittadinanza, salario minimo, legge patrimoniale, ecologismo esasperato alla Greta Thunberg, politica 2.0 alla Alexandria Ocasio Cortez, liberalizzazioni in materia di diritti pro Lgbt, spinta nichilista sulla bioetica e così via. MoVimento 5 Stelle e Partito Democratico si annusano perché in altre parti del mondo – date uno sguardo neppure troppo approfondito – fanno parte della stessa entità politica. Le primarie democratiche degli Stati Uniti danno spazio a tutti. C’è Joe Biden, con il suo 36% di partenza – registrano i primi sondaggi – e il fascino esercitato sull’establishment, ma ci sono pure Andrew Yang e la sua risposta all’espansione tecnologica della robotica, che fa tanto grillismo: garantire uno stipendio di Stato a tutti coloro che saranno costretti a impacchettare le loro cose.
Dalle parti nostre l’operazione ancora non parte, ma bisognerà stare attenti. Perché se esiste un rischio sistematico di una legge elettorale che consente di decidere le alleanze dopo il responso delle urne, è quello di vedere le differenze ideologiche assottigliarsi a favore del pragmatismo. Lo sa Nicola Zingaretti e lo sa pure Luigi Di Maio. Le aperture dell’ex ministro Graziano Del Rio non vanno prese alla leggera. All’inizio di questa legislatura, una parte di Partito Democratico ha lavorato a un accordo con i pentastellati. Le divisioni che sembrano persistere dall’altra parte del campo non aiutano e anzi rilanciano uno scenario che per ora è solo ventilato. Quanto sarebbero compatibili un Pd “rinnovato” – come si azzardano a dire dalle parti del Nazzareno – e una leadership grillina centrata, magari, su figure meno dorotee come Alessandro Di Battista o Roberto Fico? Forse la domanda da porsi è un’altra: quali sarebbero le differenze? Poche, perché la radice ideologica è comune. Mal che vada esistono i temi etici. Quelli che sono rimasti fuori dal “contratto di governo” gialloverde e che sarebbero in grado di mettere d’accordo l’intero arco grillo – democratico. Pensate – per esempio – alla legge d’iniziativa popolare per la liberalizzazione dell’eutanasia, che è già entrata nel nostro sistema giuridico mediante il provvedimento sulle Dat. Pensate – più in generale – alle posizioni di Partito Democratico e MoVimento 5 Stelle su quella che Joseph Ratzinger ha chiamato “proliferazione dei nuovi diritti”. C’è un’autostrada di relativismo su cui viaggiare.
Il Pd, finché i grillini faranno parte dell’esecutivo, parte da una posizione dialettica di debolezza. Perché i piddini rimangono, nella polemica anti elitista che è tipica del populismo, di destra o di sinistra che sia, parte integrante del disastro che i governanti attuali dicono di voler risolvere. Ma quando la medesima polemica virerà su altri lidi, puntando su quello che non ha funzionato in questa esperienza con la Lega di Matteo Salvini, le acque delle possibilità politiche si apriranno e le dogane separanti verranno meno. Sarà il tempo della “nuova sinistra”. Pedro Sanchez ha vinto le elezioni generali spagnole. La partita, nel momento in cui scriviamo, non è ancora chiusa, ma l’alleanza prospettata è quella con Podemos e con i partiti regionalisti. Non potrebbe essere altrimenti – dicevamo – perché la corsia di partenza occupata è la stessa. Gli atleti tardano, ma qualcuno ha almeno intenzione di provarci. Se il centrodestra fosse unito, dovrebbe sperare si tratti di una falsa partenza.