Ma alla Libia serve davvero l’aiuto di Bruxelles per fermare i clandestini?

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Ma alla Libia serve davvero l’aiuto di Bruxelles per fermare i clandestini?

06 Ottobre 2010

Quel che si è capito dall’accordo informale sull’immigrazione raggiunto ieri dalla delegazione Ue in visita a Tripoli è che i Paesi europei dovranno sganciare altri 50 milioni di euro nei prossimi tre anni per garantirsi la collaborazione di Gheddafi nel controllo dei flussi di clandestini che lasciano la Libia diretti verso l’Italia e l’Europa. La buona notizia è che il portavoce della Commissione, Michele Cercone, ha ribadito che i fondi non verranno stanziati direttamente al governo libico ma gestiti da Bruxelles e dai contractor che lavorano per suo conto sul campo. Il rais di Tripoli, che chiede 50 miliardi, dovrà quindi ridimensionare le sue aspettative.

Detto questo è lecito chiedersi se sia giusto pagare la Libia per frenare l’arrivo dei clandestini, visto che non ci sono ancora dati precisi sui risultati portati a casa da Tripoli negli ultimi due anni (prima degli accordi siglati con l’Italia sappiamo solo che il loro numero stava aumentando a vista d’occhio). Non si tratta semplicemente di legare la questione dei finanziamenti al rispetto dei diritti umani, come sta cercando di fare Bruxelles. Sarebbe un risultato importante ma purtroppo Gheddafi è un leader volatile che mantiene le sue promesse quando e come gli fa comodo: basti pensare al recente episodio del peschereccio siciliano preso a mitragliate dalle motovedette libiche o al boicottaggio della Svizzera di qualche mese fa. La domanda se mai è un’altra e riguarda le capacità della Libia di riuscire a ottemperare, da sola, ad obblighi internazionali come quelli che riguardano il controllo delle frontiere.

Ieri una fonte libica ha rilasciato un’intervista al quotidiano londinese Al-Sharq al-Awsat dichiarando che “non accetteremo di fare la guardia costiera dell’Europa a titolo gratuito. Ci sono pesi economici che il nostro Paese non può sopportare da solo e gli europei devono collaborare”. Ma le cose stanno davvero così? In realtà Gheddafi non guida più uno “stato-paria” e l’economia del suo Paese non è sul crinale del fallimento. Pensiamo alla penetrazione dei capitali libici nell’economia italiana – il caso Profumo insegna – o al modo spregiudicato in cui il fondo sovrano di Tripoli si sta muovendo nello scenario finanziario internazionale.

Un esempio concreto? Ieri il premier di Sao Tomé ha fatto sapere che il fondo sovrano libico progetta di costruire un mega-hotel a cinque stelle nel cento della capitale dell’arcipelago, un progetto valutato intorno ai 35 milioni di dollari che dovrebbe diventare operativo entro la fine di quest’anno. Tripoli sarebbe pronta a costruire altri complessi edilizi a Praia Governador, nei pressi dell’aeroporto internazionale, dopo aver già compiuto investimenti per decine di milioni di dollari nell’isola. Per non dire del Libyan stock Exchange (LYX) che domenica scorsa ha chiuso in rialzo con un aumento di 6,44 punti. E allora, quali sarebbero i “pesi economici” che Tripoli non può sostenere? Basterebbero un paio di alberghi in meno in Nuova Guinea per dimezzare il finanziamento della provvida UE.

La verità è che Gheddafi continua a giocare sui sensi di colpa post-coloniali dell’Europa mentre si rivolge in modo sprezzante al resto del mondo africano, spiegando che Bruxelles deve pagare se non vuole che l’Europa divenga sempre più “nera” e popolata da “africani ignoranti” (parole sue). Non si può negare che l’immigrazione sia una questione prioritaria per tutta la fascia di Paesi del Nord-Africa, Libia, Tunisia, Egitto o Marocco, ma il fatto che si continui a pagare per risolverla, in fondo, mostra che la Ue non ha una soluzione né tantomeno delle politiche condivise per affrontare il problema. Dovremmo essere noi a fare uno sforzo di immaginazione per ripensare le frontiere di domani invece che delegare a un dittatore razzista e avido di soldi il compito di gendarme del Mediterraneo.