Ma all’origine di tutto ci sono le colpe di Milosevic

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Ma all’origine di tutto ci sono le colpe di Milosevic

22 Febbraio 2008

Forse non tutti ricordano che la guerra nella ex Yugoslavia non comincia in Bosnia e neppure in Croazia, ma in Kosovo. La catena di eventi che ha  portato al massacro di Srebrenica e al bombardamento di Belgrado parte da lì, alla fine degli anni ’80, quando il leader serbo Slobodan Milosevic lanciò un serie di misure repressive contro questa provincia autonoma,  semi-indipendente e a prevalenza albanese all’interno della Serbia. Questa situazione culminò nel 1990 quando Milosevic pose fine alla semi-indipendenza, revocò l’autonomia del Kosovo, installò nuovi controlli di polizia, chiuse i giornali in lingua albanese, licenziò i professori universitari e inflisse un caos politico ed economico alla regione.

L’intenzione di Milosevic era quella di ristabilire il dominio serbo-ortodosso sul Kosovo, luogo storico di una importante battaglia tra i serbi e l’impero Ottomano nel 1389 (in cui i serbi vennero sconfitti) e patria di una sostanziosa minoranza serba. Il risultato di tutto questo? Proprio in questi giorni, quasi vent’anni dopo, il Kosovo – uno stato di lingua albanese e a maggioranza musulmana in cui, è facile prevedere, la minoranza serba non sia particolarmente benvoluta e dove le chiese ortodosse difficilmente saranno a riparo da vandalismi – ha dichiarato la sua indipendenza. Sarebbe difficile trovare una dimostrazione più eloquente della legge sulle conseguenze inintenzionali.

Infatti, guardando le folle in festa sabato notte per le strade di Pristina, mi sono chiesta se non ci fosse una più profonda lezione da trarre per tutta l’area balcanica. L’obiettivo dichiarato di Milosevic era la maggior gloria della Serbia (ne aveva anche di non dichiarati, come la perpetuazione della struttura di potere dell’era comunista, ma qui non importa). Riattizzare il nazionalismo serbo ha trasformato le minoranze serbe in Yugoslavia in mini-milizie. Queste a loro volta hanno ispirato la nascita di mini-milizie croate, bosniache, albanesi che hanno cominciato a combattersi tra di loro in una serie di piccole ma sanguinose guerre.

Posso certamente essere accusata di ipersemplificare questa cronologia, ma resta comunque vero che il risultato di queste iniziative – pulizia etnica, discriminazione, aggressività – sono state un completo disastro per la Serbia. L’economia serba è andata a picco; l’influenza serba sulla ex Yugoslavia è evaporata; Belgrado, la capitale, bombardata. Ora la Serbia sembra anche destinata a essere smembrata.  Alcuni paesi europei e gli Stati Uniti hanno riconosciuto l’indipendenza del Kosovo, qualcosa che non sarebbe mai accaduta vent’anni fa. Milosevic, il leader super-nazionalista che coltivava il sogno di una Serbia rinata, più forte e più rispettata, ha danneggiato il suo paese più di qualsiasi altro.

E’ bene tenere a mente questa lezione nei prossimi mesi se qualcun altro in Europa o altrove pensa di prendere il Kosovo come precedente.  Dopo tutto, se gli albanesi possono essere indipendenti dai serbi, gli abkazi e gli osseti del sud vorranno esserlo dalla Georgia, i baschi e catalani non capiranno perché non lasciare la Spagna e chissà cosa succederà a Cipro.

In qualcuno di questi casi ci sono paesi vicini che possono essere interessati ad incoraggiare la secessione, così come la Serbia incoraggiava le sue minoranze in Bosnia e in Croazia. In particolare la Russia ha già lanciato segnali minacciosi nel caso dei separatisti georgiani, e si capisce perché. Quale modo migliore per prendersi una rivincita contro quegli amanti della Nato dei georgiani che aiutare le minoranze etniche della Georgia in una guerra civile. Per altro il momento non potrebbe essere più propizio. Nella fase finale dell’amministrazione Bush qualcuno penserà all’Abkazia? E mentre si gioca una delle più interessanti campagne elettorali che gli Usa abbiano visto da decadi, ci sarà spazio per ciò che accade nell’Ossezia del Sud?

Di certo però, se l’Abkazia e l’Ossezia finiranno con lo staccarsi dalla Georgia e se ne seguisse una guerra civile, la Russia avrà uno stato fallito ai suo confini.  E come ben sappiamo dalla Yugoslavia, dal Medio Oriente e dall’Africa, le guerre civili etniche o religiose hanno una terribile capacità di contagio. Il caos in Georgia potrebbe essere, nel medio termine, un vantaggio per il clan Putin, bisognoso di evocare uno stato di guerra, di infastidire l’Occidente e di tenersi stretto il potere (proprio come il Milosevic di una volta), ma di certo non è nell’interesse della Russia nel lungo termine.

La politica russa verso queste ambizioni separatiste nelle prossime settimane ci dirà molto sulla mentalità del gruppo dirigente di Mosca. Se gli inquilini del Cremlino hanno a cuore il benessere dei loro compatrioti resteranno in silenzio e cercheranno ci placare gli animi di tutti. Altrimenti, beh, spero che ricordino che la legge delle conseguenze inintenzionali si applica anche a loro

Dal Washington Post del 19 febbraio.