Ma che Assange, se proprio cerchiamo un eroe difendiamo Lars Vilks

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Ma che Assange, se proprio cerchiamo un eroe difendiamo Lars Vilks

15 Dicembre 2010

Julian Assange libero su cauzione, meglio, agli arresti domiciliari in un castello (sic) – anche se, per adesso, torna dietro le sbarre fino alla decisione definitiva sulla sua estradizione in Svezia. Ieri è stata una giornata campale per il volto pubblico di WikiLeaks, con la stampa a fare da megafono alle ingiustizie patite dal chiomato distruttore delle diplomazie internazionali. Giornalisti, fotografi, televisioni, hanno dato il massimo risalto al suo arresto e alla breve detenzione, lasciando che Assange si trasformasse, ancora più di quanto già non sia, in una vittima sacrificale dei poteri che vorrebbero chiudergli il becco.

Nelle ultime settimane ci si è interrogati spesso sul fondatore di WikiLeaks e sulla sua strategia internettiana che fa leva su uno dei valori fondati della società occidentale, la libertà di espressione. I suoi sostenitori reputano le contromisure prese per ridimensionarlo una carta pericolosa per l’Occidente: come faremo a condannare ancora la Cina per le sue politiche anti-Google se non diamo ad Assange la possibilità di rendere pubblici i documenti riservati di cui è entrato in possesso? Altri lo considerano un criminale, un egoico che si è impadronito del marchio WekiLeaks per trasformarlo a sua immagine e somiglianza. Altri ancora, più semplicemente, lo vorrebbero vedere morto. Ma in un caso o nell’altro, che sia giusto o sbagliato quello che ha fatto, dobbiamo concordare su un fatto: Assange è un fenomeno mediatico, se ne parla, accende gli animi ma con la sua immagine sempre più onnipresente riesce ad oscurare altre e ben più pericolose vicende.

Per esempio l’attentato compiuto nei giorni scorsi da un giovane kamikaze nella multiculturalissima Stoccolma, una delle capitali nordeuropee che stanno sperimentando la violenta avanzata del terrore islamista. L’attacco, alla fine, è fallito – il giovane martire non è riuscito nel suo intento, farsi saltare in aria portandosi dietro quanti più innocenti possibile – ma nella sua rivendicazione l’uomo ha fatto sapere di voler punire idealmente l’autore delle ormai celebri "vignette su Maometto". Parliamo di Lars Vilks, il disegnatore che nel 2007 dipinse un Profeta a forma di cane scatenando una pandemia isterica fra i benpensanti e attirandosi le fatwa di chi lo considera, ancora oggi, un bestemmiatore.

Il kamikaze di Stoccolma, del resto, non è stato il primo a scagliarsi contro Vilks: dicono che il giovane islamico fosse collegato allo "Stato islamico dell’Iraq", il braccio di Al Qaeda in mesopotamia, che ha messo una taglia di centomila dollari sulla testa del vignettista. Il 9 marzo 2010, sette persone sono state arrestate in Irlanda mentre organizzavano l’omicidio di Vilks. Subito dopo, è toccato a una donna americana, Colleen R. LaRose di Philadelphia, che cercava di reclutare un jihadista telematico per portare a termine la "missione". Infine, il martire della scorsa settimana.

Ma dove sono i giornalisti, i flash e le telecamere che hanno fatto di Assange un eroe della libertà? Perché Vilks è un artista che incita all’odio e ha dovuto subire un’odiosa censura, mentre il "pirata del web" viene difeso a spada tratta? E’ semplicemente quel doppio standard di cui ha scritto, senza infingimenti, Victor Davis Hanson sulla National Review. I "politicamente corretti" plaudono sempre chi spala letame sull’Occidente per poi calarsi le braghe di fronte a chi minaccia la nostra civiltà.