Come ammoniva nel 1989 Nanni Moretti: “chi parla male, pensa male! Le parole sono importanti”. E noi, che abbiamo sempre apprezzato la qualità dei film di Moretti, abbiano impresso a fuoco queste parole nella nostra mente. Da allora prestiamo enorme attenzione alla qualità linguistica delle conversazioni ed in particolare alla qualità linguistica dei discorsi politici nella convinzione che strafalcioni, sgrammaticature, uso improprio dei vocaboli non siano solo un insulto all’Accademia della Crusca ma rappresentino un piccolo ma prezioso sintomo di una carenza nel percorso intellettivo che ha prodotto quel pensiero.
Ad esempio, negli ultimi anni una categoria molto ricorrente nel discorso politico e molto ripresa dalle fonti informative e giornalistiche che ha molto colpito la nostra attenzione è quella dei “trafficanti di esseri umani”. Con questa espressione normalmente si indicano coloro che dietro “il pagamento di un corrispettivo assicurano il trasporto di persone da un paese ad un altro dove l’ingresso sarebbe ostacolato dalle leggi di quel paese” (Wikipedia). In realtà nei suddetti casi mancano gli elementi minimi indispensabili perché gli esercenti tali attività possano essere qualificati come “trafficanti”.
Nel nostro caso l’attività di traporto da un paese di provenienza ad un paese di approdo risponde all’esigenza, volontariamente maturata, di chi chiede di farsi trasportare. Viceversa la categoria del trafficante, se riferita ad esseri umani e non ad oggetti, a rigore indica chi trasporta persone contro la loro volontà, tipicamente nell’ambito di una tratta di uomini (e donne) ridotti in condizioni di schiavitù o semischiavitù. In sostanza il trafficante carica un essere umano contro la sua volontà lo trasporta in un luogo di destinazione dove lo consegna a qualcun altro che da quel momento assume il controllo su quella vita.
Come si vede si tratta di uno schema totalmente diverso da quello al quale assistiamo nel caso dell’immigrazione clandestina, nell’ambito della quale numerosi soggetti sono così determinati lasciare il proprio Paese per trasferirsi a vivere in Europa da decidere di affrontare un viaggio che sanno sarà lunghissimo (secondo alcune stime il viaggio da un paese africano che non si affacci sul Mar Mediterraneo può durare anche 22 mesi), costosissimo (si stima che siano necessari quasi 4000 euro) e molto disagevole e pericoloso (innumerevoli sono le violenze cui il migrante si espone e ben noti sono i rischi di morire durante il viaggio).
Ma la cosa più importante da focalizzare non è tanto il profilo della coerenza logica e linguistica di tale espressione. Quello che più conta è il fatto che dietro di essa si celi un retropensiero totalmente falso che se non adeguatamente affrontato può determinare il fallimento delle politiche di governo del fenomeno migratorio. Dietro la categoria dei “trafficanti di uomini” si annida infatti l’idea che per bloccare i flussi migratori incontrollati sia necessario e sufficiente bloccare l’attività dei trafficanti. Un po’ come nel caso della droga se riuscissi a fermare l’azione dei narcotrafficanti avrei nei fatti eliminato il commercio degli stupefacenti.
Ma non è così. Se è vero che alla base del fenomeno c’à la fortissima determinazione di migliaia di persone di cambiare vita e cambiare continente, è chiaro che, anche se bloccassimo completamente l’attività dei trafficanti, questa determinazione riuscirebbe sicuramente ad escogitare nuove modalità per cercare di realizzare l’obiettivo. Tutto sommato fra Karthum (la capitale del Sudan) e Pantelleria c’è una distanza di circa 5000 chilometri e, per quanto ci siano da attraversare il deserto e un breve tratto di mare, è ragionevole pensare che i migranti riuscirebbero nell’impresa anche in mancanza dell’intermediazione dei “trafficanti”.
In realtà se l’obiettivo è quello di sconfiggere i “trafficanti” una maniera ci sarebbe. L’unico modo per bloccare la loro attività sarebbe quello di legalizzare lo spostamento dei migranti, di farlo rientrare nelle normali reti di trasporto e di mobilità. Naturalmente una tale scelta andrebbe accompagnata dall’introduzione di misure di garanzia e sicurezza (identificazione dei soggetti, deposito di una cauzione all’ingresso, possibilità di seguirli durante il soggiorno in Italia, temporaneità della loro permanenza, garanzia della possibilità di rimpatrio al termine del periodo). In tal modo, non solo si azzererebbe l’attività degli scafisti, ma – cosa ben più importante – sarebbe possibile gestire un fenomeno che è attualmente e rimarrà in futuro assolutamente ingovernabile, nonostante i proclami di guerra ai “trafficanti di esseri umani”.