Ma da quand’è che Zapatero non va sulle Ramblas?

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Ma da quand’è che Zapatero non va sulle Ramblas?

Ma da quand’è che Zapatero non va sulle Ramblas?

23 Gennaio 2008

Riempire “il vuoto” tra Oriente e Occidente. Sarebbe
questo l’obiettivo dell’Alleanza delle civiltà, l’iniziativa diplomatica
lanciata dal presidente spagnolo Zapatero nel 2004 per rimarginare le ferite
aperte dopo gli attentati dell’11 Settembre e dell’11 Marzo.

In questi giorni a
Madrid si è svolto il primo Forum dell’Alleanza che si propone come alternativa
al più celebre “scontro” delle civiltà di Samuel Huntington. Erano presenti il
segretario generale dell’ONU Ban Ki-moon, il premier turco Erdogan, i
presidenti del Senegal, della Slovenia, della Finlandia e della Malaysia e l’ex
capo di stato portoghese Jorge Sampaio, alto rappresentante dell’ONU, che ha
precisato: “non vogliamo fare concorrenza a nessuno, cresceremo grazie ai
finanziamenti degli stati membri e in accordo con l’UNESCO e il Consiglio
d’Europa”.

La Spagna ha già donato due milioni di euro indicando le direttive
del nuovo organismo: l’educazione, la gioventù, la condizione dei migranti, una
maggiore presa di coscienza dei mezzi di comunicazione sui delicati rapporti
tra Occidente e (soprattutto) il mondo arabo. Rapporti delicatissimi
considerando che uno dei primi atti concreti della strana coppia
Zapatero-Erdogan fu quello di bacchettare i troppo arditi vignettisti danesi.
Non è corretto farsi gioco di Maometto, anche per questo la regina Noor di
Giordania ha creato un fondo per girare dei film che rinforzino i vincoli tra
culture differenti. L’investimento iniziale dovrebbe aggirarsi sui dieci
milioni di dollari e il progetto coinvolgerebbe la gilda hollywoodiana e il
portale Internet YouTube. Tutti insieme per spiegare che la mancanza di lavoro
e di prospettive è il brodo di coltura del fondamentalismo islamico. Come se in
Occidente invece ci fosse la piena occupazione e i giovani vivessero pieni di
fiducia e di speranza.

Zapatero allarga ancora lo strappo con
l’amministrazione Bush e perfeziona il suo ricollocamento geopolitico iniziato
con il ritiro delle truppe dall’Iraq. La Spagna vuole presentarsi come modello
di integrazione agli occhi dell’Europa, dei paesi che si affacciano sul
Mediterraneo e di quelli dell’area ispano-americana, lo stato-guida della
multiculturalità.

Chissà da quanto tempo il presidente spagnolo non passeggia
sulla Rambla Catalunya di Barcellona, la grande arteria  che attraversa la città vecchia fino al porto con
l’altissima statua di Cristoforo Colombo. A prima vista l’andirivieni sulla
Rambla sembra molto glocal e cosmopolita. Italiani vestiti Armani. Comitive
di inglesi ubriachi dalle sei del pomeriggio. Fotografi giapponesi amanti
dell’architettura catalana. Giovani sick con il turbante rosso in testa.
Freak, cani, mimi e istrioni, venditori di uccellini, qualche trans venezuelana.
La fauna di artisti, turisti e bohemienne che riempie i megaspazi di ritrovo e
di consumo delle metropoli postmoderne, da Piazza Navona al Boulevard Hausman.

Sulla
Rambla si mescolano storie, razze ed etnie, in un meticciato fatto di gesti,
volti e colori che dovrebbe rappresentare l’anima della Spagna multiculturale. Il
clichè di qualsiasi Guida Routard.

In realtà la Rambla unisce e nello stesso
tempo divide la vecchia Barcellona. Da una parte l’elegante via Ferran del
Barrio Gotico dove si susseguono uno dopo l’altro pub e lounge bar, negozietti
etnici e aristo-freak. Siamo nella punta avanzata di Barcellona, la città del
design e del divertimento. Regina delle città di provincia o se preferite
‘capitale’ della Catalogna. Dove imprenditori spagnoli e pakistani convivono
pacificamente, le sampling girl danesi e i pierre marocchini
invitano i turisti a ballare in discoteca e a farsi un goccio di Red Bull.

Le cose cambiano se attraversiamo la Rambla dalla parte opposta della Ciutat
Vella
, verso El Raval. Inoltrarsi in questo quartiere significa
abbandonare il mondo dei balocchi multiculturali e scoprire una realtà più
squallida e desolata in cui la separazione su base etnica appare un dato sconfortante.
Qui la popolazione è fatta quasi esclusivamente di immigrati islamici e latinoamericani,
si mangia pakistano indiano e cinese. Gli anziani barcellonesi si aggirano
spaesati nel Mercato Maria del Carmen e gli studenti d’arte di tutte le
nazionalità si riuniscono nel vecchio e mastodontico Hospital de la Santa Creu
che ospita la Biblioteca de Catalunya e il Conservatorio Municipal de
Arte
. Sono loro, gli studenti, il futuro di questa zona della città. Stanno
rivalutando il valore del mercato immobiliare ma la loro presenza non basta a
togliere l’impressione di essere capitati in una comunità ghettizzata o che si
è autoghettizzata. El Raval, una enclave tipica di quella integrazione che
viene predicata a parole ma nei fatti diventa una separazione consensuale.

La fine della Rambla Raval, a due passi dal mare, è
il regno dello spaccio e della prostituzione. Tutto avviene alla luce del sole
e con grande educazione. Da queste parti i turisti capitano di rado e circola solo
qualche assetato occidentale con l’impermeabile e la pipa in cerca di povere
ragazze del Camerun o della Romania da consumare in fretta. La polizia osserva.
La delinquenza è in mano ai protettori albanesi e ai pusher nordafricani.

Incontriamo piccoli negozi di elettronica, internet
point e agenzie per il trasferimento del denaro all’estero che hanno nomi di
associazioni giovanili islamiche e sono frequentati da maschi adulti con la
barba lunga e la Jallabiah. Secondo il libraio catalanista Manuel in
queste calli non c’è posto per gli integralisti. El Raval è un luogo che soffre
e prega in lingue diverse. Il Corano con sotto l’eco di un rosario che giunge
dalla cappella di San Augustin.

La stampa spagnola ha dato poca rilevanza al Forum di
Madrid. El Pais, il quotidiano più autorevole e filogovernativo della
Spagna zapaterista, ha trattenuto il malumore distillando qualche critica
velenosa alla politica estera del presidente. Il 16 gennaio, il giorno del
vertice, un’editoriale di Andres Ortega metteva in guardia dai rischi che si
nascondono dietro l’Alleanza delle Civiltà. Servirà solo a favorire l’ingresso
della Turchia in Europa? Secondo il presidente turco Erdogan: “Qualsiasi
ostacolo nel cammino della Turchia sarà un ostacolo per la pace nel mondo”.

Il 15 gennaio El Pais era stato ancora più critico
pubblicando un lungo articolo di Xavier Rius intitolato “Chiaroscuri dell’immigrazione”.
Rius, giornalista di sinistra e autore del Libro de la inmigracion en Espana,
ha elencato quali saranno le tappe della prossima legislatura: sviluppare
l’integrazione degli immigrati regolari, concedergli il voto alle elezioni
amministrative, rendere più agili i ricongiungimenti con i paesi d’origine.

Una
piattaforma che sarebbe sciocco definire conservatrice o socialista. Si sta
parlando dei nuovi cittadini spagnoli e dei loro diritti: “un migrante può
morire con l’uniforme dell’esercito, ma non può votare il sindaco della sua
città”, scrive Ruiz. Il giornalista ha messo il dito nella piaga mostrando il
volto più antipatico di Zapatero, quello un po’ viscido e brutale delle
repressioni a Ceuta e Melilla, le enclavi spagnole in territorio marocchino (decine
di migranti presi a fucilate e morti ammazzati).

E lo sguardo furbo spregiudicato
e calcolatore di un governo che gioca con i numeri dell’immigrazione solo per
gestire meglio i flussi dei lavoratori sulla base delle esigenze economiche
della Spagna. I cantieri sulle Ramblas si riempiono di operai clandestini e
questa economia sommersa ci riporta alle contraddizioni di Barcellona e di
tante altre città europee che sotto la scorza di una sprizzante modernità nascondono
ancora una difficile coabitazione.