Ma Donald Trump non è un “manchurian president”

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Ma Donald Trump non è un “manchurian president”

01 Giugno 2017

L’ingegneria elettorale americana è sofisticata e ha il supporto di due quotidiani avversari, il New York Times e il Washington Post, che finiscono per avere posizioni bipartisan sui temi più importanti. Entrambi i giornali hanno sempre criticato Trump, il New York Times ha lanciato la campagna sul Russiagate e il Washington Post ha addirittura accusato Jared Kushner, il genero di Trump, di avere un canale segreto con i russi. Il 31 maggio, poi, il NYT ha pubblicato un editoriale del cattolico Ross Douthat intitolato “The ‘Manchurian’ President?”. Come si sa, Trump è considerato dai media, New York Times in testa, il pupazzo di Putin, eletto dagli hacker russi, per distruggere l’America. Ross Douthat si rifà al film “The Manchurian Candidate” del 1962, dove un ufficiale americano, dopo il lavaggio del cervello durante la guerra in Corea, sta per diventare presidente e sarà l’uomo di Mosca e Pechino. A differenza del Manchurian Candidate, che fa una campagna tutta antirussa, Trump – scrive Douthat – ha impostato tutta la campagna sul grande accordo che avrebbe fatto con la Russia di Putin, su quanto era contento di piacere a Putin: su questa linea ha vinto le primarie e su questo è stato eletto. Quindi, Trump sarà ignorante e rozzo, ma non ha mai mentito.

La Russia sarà sempre un rivale, ma non è un eterno nemico, e la paranoia del mondo antiTrump è simile a quella maccartista. Douthat non nasconde la perplessità per l’autoritarismo di Putin, ma anche Bush jr ebbe un rapporto preferenziale con l’Arabia saudita, come Obama col mondo islamico dell’Africa e del Sud-est asiatico. Quindi, Trump è un presidente indisciplinato, ma non può essere considerato il Manchurian President di Mosca. Il giorno dopo il New York Times pubblica un articolo di David E. Sanger dal titolo “A History of Secret Channels, from Jefferson to Kushner”. Il pezzo inizia con la misteriosa telefonata di Robert Kenendy a una spia russa, per assicurare che il fratello avrebbe chiuso con la guerra fredda. Poi ci fu la Baia dei Porci e la crisi dei missili. Ci fu il canale segreto di Nixon che prometteva al Sud Vietnam un trattamento migliore se fosse stato eletto lui invece di Johnson. Gli storici discutono ancora se Nixon commise “tradimento”. Di solito, si dice, sono i diplomatici ad aprire canali segreti, e Kushner non lo è, ma Jefferson – continua Sanger – inviò una lettera con un messaggio in codice in Francia per acquistare la Lousiana. La storia dei canali segreti, insomma, è vecchia come la storia degli Stati Uniti.

Dopo l’uscita della Merkel sugli Stati Uniti “inaffidabili” e sull’Europa che deve cominciare a pensare di trovare altri alleati, infine, il New York Times fa intervenire Anne Sauerbrey. Sauerbrey sostiene che il problema è la perdita di fiducia nella Merkel negli Stati Uniti, ma Trump non è responsabile delle decisioni dell’asse franco-tedesco, né di Brexit. “Per quanto gli Stati Uniti e l’Europa possono lavorare insieme senza essere amici?” conclude l’articolo. La “svolta” del New York Times su Trump avviene dopo l’uscita della Merkel, e a questo punto il romanzo fra Trump e Putin non è più cosi strano. Il problema degli Stati Uniti infatti è l’Eurasia, e per fermare questo processo vanno bene la alleanza con la Russia, la “Nato araba” e la pace tra Israele e i palestinesi. Così come per la Russia è senz’altro più importante l’America per combattere il terrorismo islamico, più della Germania e della Francia che vorrebbero cacciare Assad, il dittatore siriano.