Ma i Cie non sono “lager”

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Ma i Cie non sono “lager”

24 Dicembre 2013

La "doccia disinfestante" a cui sono stati sottoposti gli immigrati nel centro di Lampedusa ha riaperto la polemica sui Cie e in generale sul sistema della accoglienza. Il ministro dell’interno Alfano ha definito l’episodio "grave" e le immagini "inaccettabili", aggiungendo che vanno contro i nostri "principi umanitari e costituzionali". Il governo ha rescisso il contratto con Lampedusa accoglienza, la società che fa capo a Sisifo, il consorzio di Lagacoop che gestiva il centro sull’isola dal 2007. Quanto è accaduto è stato quindi giustamente denunciato prendendo le adeguate conseguenze.

Restano una serie di domande. Dalla indagine ci si aspetta di capire se quel "trattamento sanitario" era regolare, se un medico del centro l’abbia consentito, se dalla prevenzione della scabbia si sia caduti nel reato di maltrattamento. Dopo l’incendio degli anni scorsi il centro di Lampedusa funziona come si deve o come suggeriscono in molti  rischia il collasso? E quali interessi nasconde il "mercato della accoglienza" gestito dai grandi player della cooperazione che si spartiscononi i fondi statali, quei 30 euro al giorno per immigrato versati dal Governo a chi si occupa di queste strutture?

I fondi sono sufficienti? Per la filiera che dal mondo delle cooperative e dell’associazionismo porta a voci autorevoli della politica e della stampa la risposta è no, i fondi non bastano, gli operatori del centro di Lampedusa "sono costretti a lavorare in uno stato di assoluta precarietà", spiega Legacoop Sicilia, in "condizioni di vita indegne", secondo il parlamentare di Sel Nicola Frantoianni. "Per chi gestisce i centri non è una situazione sostenibile", dichiara il presidente della Camera Laura Boldrini chiedendo una "maggiore capacità di transito". La mancanza di fondi sarebbe quindi la causa che a cascata genera tutti gli altri mali fino al video della vergogna.

Ma chi finisce nei Cie? Gli immigrati che devono essere espulsi. E quanto ci restano? Diciotto mesi, più di quanto avvenga nella Gran Bretagna del conservatore Cameron o nella Francia del socialista Hollande. Sappiamo di parlare arabo per chi vorrebbe espandere le risorse e l’indotto, nell’illusione che il castello di carte regga e con il sistema anche il consenso e le clientele che si porta dietro. La stampa da parte sua contribuisce descrivendo la doccia nel centro di Lampedusa come degna dei "lager", ma da un comunicato di Medici Senza Frontiere apprendiamdo che "Msf non è mai stata testimone di comportamenti come quelli documentati dal Tg2 durante i periodi di presenza all’interno del centro".

C’è indignazione, certo, ma la ‘doccia’ secondo Msf dimostra "un mancato rispetto costante della privacy delle persone sottoposte a visite mediche", non sembra insomma il primo passo verso le camere a gas. L’equivalenza morale con Auschwitz e Birkenau diventa quindi funzionale a una operazione di propaganda politico-mediatica non meno spregiudicata degli affari condotti dai manager dell’accoglienza che il sistema tengono in piedi in tutte le sue contraddizioni. La vicenda viene sfruttata con l’obiettivo di rottamare la legislazione esistente sulle espulsioni giocando sulla cattiva coscienza e il senso di colpa.

Eppure non ricordiamo la stessa reazione corale quando qualche giorno fa è giunta la notizia che un eritreo ospite del Cara di Mineo si era tolto la vita. Aspettava da sette mesi che gli concedessero l’asilo. I lager, la disinfestazione, il racconto del video trafugato dal "profugo siriano" fanno certamente più audience di un anonimo suicidio. Ma conviene a qualcuno che l’Italia passi sempre per fascista e razzista? Chi ci guadagna dal trasformare il controverso ad di Lampedusa accoglienza, Cono Galipò, in un nuovo kapò?