Ma in Afghanistan il fisco esiste?

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Ma in Afghanistan il fisco esiste?

12 Agosto 2010

Conoscere il funzionamento dei sistemi fiscali esteri, a volte, può essere utile anche per capire i difetti (o i pregi) del nostro sistema fiscale. Nel caso dell’Afghanistan non possiamo certo ritenere, per motivi oggettivi ed indipendenti dall’efficienza della normativa di specie, che il relativo sistema possa essere efficiente.

Tuttavia può essere utile, anche solo da un punto di vista culturale, conoscerne il funzionamento.

Nel 2005 in Afghanistan è stata infatti introdotta una riforma fiscale, i cui capisaldi possiamo così riassumere.

Innanzitutto in Afganistan, vigendo il calendario persiano, (versione solare dell’anno islamico), sia per le persone fisiche che per le persone giuridiche (società etc.) il periodo di imposta va dal primo giorno di Hamal (21 marzo) all’ultimo di Hoot  (20 marzo). Le società estere, però, possono chiedere di utilizzare un periodo di imposta differente. Le persone fisiche residenti sono quindi tassate sui redditi da lavoro, affitti, redditi di partecipazione, royalties ecc. di provenienza nazionale ed estera, in base al principio del worldwide taxation. I non residenti, invece, sono tassati solo sui redditi di fonte afgana.

Non rientrano però nel reddito imponibile le donazioni da parte dello Stato o di organizzazioni nazionali o estere, le borse di studi, i risarcimenti assicurativi o di altra fonte, gli interessi sui depositi da banche afgane e su titoli di enti pubblici nazionali e le eredità. Tali redditi sono sottoposti ad una tassazione di tipo progressivo sulla base di scaglioni di reddito che vanno da un’esenzione per i redditi fino a 150.000 afgani, al 10% dell’importo eccedente i 150.000 afgani per i redditi fino ad 1.200.000 afgani, a 105.000 afgani + il 20% dell’importo eccedente 1.200.000 afgani, per gli importi oltre tale soglia.

Per quanto riguarda le società, esse sono soggette a tassazione, con aliquota (generalmente) del 20%, tutte le persone giuridiche e il reddito imponibile (come in fondo anche da noi) viene calcolato come differenza tra ricavi e costi attinenti all’attività di impresa e le perdite sono deducibili dal reddito dei tre anni successivi nella quota di un terzo per ogni anno.

Abbiamo detto che l’aliquota è generalmente pari al 20%. I piccoli contribuenti che non tengono scritture contabili, però, possono scegliere di pagare un’imposta del 3% sul valore degli acquisti, se compilano solo il registro degli acquisti, oppure del 2% del valore dei ricavi, se compilano solo i registri delle vendite, del 2,5% del valore dei ricavi stimati, se non tengono nessuna contabilità, oppure, infine, del 6% del valore di mercato del magazzino, se non tengono alcuna contabilità e non sono in grado di stimare i ricavi.

Non esiste un’imposta assimilabile all’Iva, che, però, viene in sostanza sostituita dalla business receipts tax, applicata con un’aliquota del 2% su tutti i ricavi delle società per azioni, delle società a responsabilità limitata, delle società in nome collettivo e delle organizzazioni eccetto che per gli affitti, le royalties, le commissioni, le parcelle, gli interessi, i dividendi e simili per i quali l’aliquota è al 5% (le persone fisiche e giuridiche che svolgono attività di albergo, ristorazione, servizi di telecomunicazione e linee aree e che abbiano avuto ricavi non inferiori ai cento mila afgani nel corso del mese sono invece soggetti ad aliquota al 10%). Tale imposta è comunque deducibile ai fini dell’imposta sui redditi.

Infine, si sottolinea come chi svolge attività di esportazione o importazioni di beni deve pagare un’imposta pari al 2% del loro valore inclusi i dazi doganali eventualmente dovuti, da pagare direttamente in dogana.

Da notare che, nonostante si possa anche pensare il contrario, l’Afghanistan non rientra tra gli Stati inseriti nelle black list, in quanto poco “collaborativi” o comunque assimilabili a paradisi fiscali. Non sarei però pronto a giurare che ciò corrisponda al vero.