Ma la nascita di un Pd dalla forte identità può far bene al sistema

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Ma la nascita di un Pd dalla forte identità può far bene al sistema

15 Ottobre 2007

Tre milioni
e trecentomila votanti, Veltroni attestato su di una cifra di consensi
superiore al 75%. Questi, in estrema sintesi, i risultati delle primarie del
Partito democratico tenutesi ieri. Sono dati che possono confortare chi, per
ragioni sistemiche, auspica che il Pd non nasca zoppo, ma abbia da subito una
riconoscibile identità.

D’altronde
anche nei mesi scorsi la fase costituente del nuovo partito ha offerto non
disprezzabili segnali positivi. Pensiamo, anzitutto, ad un aspetto che è stato
spesso stigmatizzato negativamente dai commentatori. Il fatto cioè che il nuovo
partito parta senza una grande spinta ideale. Non solo non si è registrata
l’adesione in massa di intellettuali (al massimo alcuni artisti o cantanti), ma
la nascitura formazione politica ha raccolto più critiche che consensi da parte
dei maîtres à penser in servizio permanente effettivo. Questo è senza
dubbio un sintomo positivo. Il Pd nasce come un partito non ideologico ma
pragmaticamente orientato. Un partito che non si immagina come l’interprete
autorizzato del corso storico, ma che deve conquistarsi il proprio consenso
voto per voto. Un partito insomma nel quale, grazie al cielo, più che le
ideologie conteranno i concreti obiettivi programmatici e, perché no, anche i
pacchetti di tessere.

Una
valutazione positiva si può dare pure dell’atteggiamento tenuto dal segretario in
pectore
in questi mesi. Il buonismo, l’etichetta “ideologica” di
cui il sindaco di Roma si era fatto propugnatore negli anni scorsi, ci ha
sempre istintivamente ripugnato. Una utopia da sottomarca, che sembrava
discendere dalla falsa e zuccherosa descrizione della realtà sovietica
reperibile nella letteratura apologetica e nei resoconti di viaggio dei%0D
compagni di strada di cinquanta o sessant’anni fa. Rispetto a questi standard
risibili il comportamento del Veltroni candidato segretario ci ha stupito
favorevolmente. Quest’estate si è presentato con un decalogo per le riforme
costituzionali che avremmo sottoscritto per i nove decimi. Un programma che,
per così dire, in molte parti ricalcava in meglio il progetto del centro-destra
bocciato lo scorso anno. Ma un giudizio nel complesso non negativo si può
esprimere a proposito di molte delle prese di posizione veltroniane su specifiche
issues presenti nell’agenda politica. Certo le ricette da lui avanzate
spesso non ci paiono condivisibili. Tuttavia, se si eccettuano alcune cadute
rovinose (come quella sugli Ogm), il punto di vista espresso è stato di solito
incompatibile con il massimalismo e orientato consapevolmente a entrare in
sintonia con l’elettorato di centro. In sintesi un atteggiamento che punta a
rendere centripeto e non centrifugo il confronto politico.

Tutto
sommato confortante è risultato anche il dibattito interno che ha accompagnato
questa fase costituente. Se Veltroni ha riscosso un consenso assai ampio, esso
non ha raggiunto percentuali bulgare, a riprova del fatto che, nonostante un
certo tatticismo fra le varie componenti, le diverse liste hanno fatto lievitare
un minimo di differenziazione interna. Questo, in ambito locale, ha prodotto
anche un positivo rimescolamento fra le varie componenti iniziali, riducendo il
temuto effetto di sommatoria di apparati.

D’altronde,
e inseriamo qui una considerazione di ordine più generale, le modalità stesse
con cui è stata pensata la nascita del Pd, quella delle primarie, ci fa capire
quanta acqua sia passata sotto i ponti dell’ideologia. Nel 1949 Giuseppe
Maranini, antesignano delle critiche alla partitocrazia, in una prolusione
intitolata appunto Governo parlamentare e partitocrazia, proponeva
come argine allo strapotere incontrollato dei partiti italiani, l’esempio
americano delle primarie. All’epoca le posizioni di Maranini furono bollate a
sinistra come qualunquiste, se non parafasciste. Adesso la procedura delle
primarie appare, al senso comune dei simpatizzanti del nuovo partito, la
quintessenza della democrazia.

Certo sul
piano dei rapporti politici interni al centro sinistra la situazione è meno
tranquilla, perché, nonostante le dichiarazioni rassicuranti di queste ore,
resta una tensione con il governo in carica. Tuttavia l’attrito con Prodi non
dipende solo e tanto da una concorrenza di leadership ma da un fatto obiettivo.
In questo anno e mezzo il governo ha operato soprattutto sotto la spinta
decisiva delle sue componenti massimaliste. In questo quadro l’esistenza di una
compagine politica nuova orientata in senso riformista è un salutare
contrappeso. E se questo renderà meno facile la vita del governo tanto di guadagnato.
Come si vede queste considerazioni ci riportano al quadro politico generale.
Pure, più che partecipare ai pronostici del toto elezioni converrà chiudere con
una considerazione di carattere più ampio. Una parte importante del centro
sinistra ha compiuto in questi mesi uno sforzo apprezzabile per aumentare la
propria coesione e presentarsi all’elettorato in ordine serrato. In tutto
questo il centro destra cosa fa? Pensa davvero che i sondaggi favorevoli si
tradurranno sicuramente in consensi anche se andrà al voto in ordine
sparso?