Ma le stime del Fmi sono quasi passate inosservate

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Ma le stime del Fmi sono quasi passate inosservate

Ma le stime del Fmi sono quasi passate inosservate

07 Aprile 2008

Che l’attuale campagna elettorale
sia stata molto al di sotto delle aspettative, è fuori discussione. A meno di
fiammate finali, ci sono state poche occasioni per le discussioni animate. Ma
colpisce che stia passando quasi inosservata la congiuntura economica
internazionale e con essa, quella italiana.

Il Fondo Monetario Internazionale, che presenterà
mercoledì prossimo il consueto World Economic Outlook, rivede al ribasso le
stime di crescita mondiale, comprese quelle per l’Italia, ormai attestate ad
una quota vicino allo zero.

Il Prodotto Interno Lordo mondiale avrà una
variazione positiva del 3,7%, contro il 4,1% di gennaio, mentre per Eurolandia
la crescita sarà nell’ordine dell’1,3% rispetto alla stima precedente
dell’1,8%.

Per quanto riguarda il nostro paese, invece, le stime sono state
costantemente ribassate dallo scorso ottobre, nonostante i pericoli derivanti
dalla crisi dei mutui subprime non abbiano ancora colpito il nostro mercato in
modo diretto. Dal +1,3% di sei mesi fa, siamo giunti allo 0,6% di marzo per
arrivare all’attuale stima di crescita dello 0,3%, situazione che riflette a
pieno i limiti italiani, divisi fra incertezza politica e burocrazia
asfissiante.

Dure le parole di Dominique Strass-Kahn, numero uno del Fmi, che
ricorda come «Le stime che pubblicheremo tra qualche giorno non stanno davvero
migliorando e la maggior parte dei rischi al ribasso individuati sei mesi fa si
sono materializzati».

La crescita economica mondiale non è mai stata così bassa
da almeno un decennio. Il default dei titoli subprime ha generato un vortice di
svalutazioni che sta facendo, lentamente, scendere tutte le economie nazionali.
Si pensi che a fronte di 600 miliardi di dollari legati alle cartolarizzazioni
di mutui ad alto coefficiente di rischio, solo 340 mld sono emersi, colpendo
principalmente UBS, Bear Stearns e Morgan Stanley.

Il primo rischio, esplicito,
è quello della recessione, già in atto in alcuni settori economici americani,
come spesso ricordato da Alan Greenspan, ex governatore della Federal Reserve.
Inoltre, vi è un rischio implicito a tutte le passività iscritte a bilancio
dalle banche d’affari. Si tratta dei fondi sovrani, fonti d’investimento
direttamente controllate dai governi nazionali, come quello cinese, creatore
nel settembre 2007 del China Investment Co., un colosso da 200 miliardi di
dollari che ha iniziato ad acquistare partecipazioni in banche americane e non
solo con il potere della sua enorme liquidità monetaria. I problemi di
asimmetria informativa all’interno dei CdA non sono stati ancora risolti e non
vi è ancora una disciplina chiara della materia.

Ma se nel mondo tutti si stanno
chiedendo quando finirà la crisi, in Italia cosa accade? Da noi sembra che non
succeda nulla, anche solo osservando le dichiarazioni che giungono sia dal
Tesoro sia da Confindustria, i cui vertici non sembrano essere preoccupati né
per il taglio delle stime di crescita né per il progressivo aumento del tasso
d’inflazione. Insomma, stiamo agendo secondo la celebre tattica dello struzzo.
La naturale conseguenza di questa fase del ciclo economico, per il nostro
paese, è l’apparizione dello spettro della stagflazione, l’azione simultanea di
stagnazione ed inflazione elevata, forse la peggiore condizione possibile,
quella da evitare a tutti i costi.

Lo stesso Mario Draghi, governatore di
Bankitalia, afferma che «l’impressione generale, e questo vale per la Germania,
la Francia e altre parti dell’Europa, è che il Fondo sia eccessivamente
pessimista». Sarà, ma è indubbio che le difficoltà economiche siano ben presenti
e radicate in Italia. Lungi dal voler essere demagogici, basta osservare lo
scenario impietoso dei “nuovi poveri”, la vecchia classe media che negli ultimi
anni ha perso importanti quote del proprio potere d’acquisto. Se, in più, in
questo frangente si aggiunge l’incertezza politica, il quadro si delinea come
poco roseo.

Parafrasando l’ultimo libro di
Giulio Tremonti, stiamo vivendo con una paura ed una speranza: la paura della
recessione economica e la speranza delle elezioni. Si, perché bisogna sperare
che si possa operare in modo funzionale per rilanciare il nostro paese dopo il
14 aprile, lasciando spazio ad un maggior pragmatismo rispetto alle mere
illusioni elettorali.