Ma lo strappo di Verdini è vero o finto?
13 Dicembre 2016
Una sorprendente presa di posizione di Gentiloni, una svista quasi innocente, o una ennesima sceneggiata renzian-verdiniana? E’ questo il dubbio che sorge immediato a leggere le dure dichiarazioni dell’ex factotum di Berlusconi, poi alleato strategico di Renzi, e – sempre e soprattutto – grande manovratore di peones, pedine parlamentari che affascina e guida nei labirinti del Palazzo. Parliamo di Verdini, ovviamente, e della sorprendente esclusione dei suoi dalla squadra di governo, mentre è stranoto che senza di loro al Senato qualunque maggioranza è a rischio, e dunque un governo che nasce con Verdini sull’Aventino è destinato a vita breve.
Appunto. E’ questo l’obiettivo di Renzi e Verdini, non semplici alleati, ma tanto profondamente simili nello scarso rispetto per le istituzioni e nel modo di considerare il potere da essere fraternamente complici? Si vuole un governo Gentiloni sotto scacco fin dall’inizio, per essere certi della sua breve durata? A Renzi non bastano le assicurazioni formali di Gentiloni, e non basta certo la sua indole non particolarmente combattiva (“una pianta grassa, dove la metti sta” ha scritto di lui Travaglio); è naturale che, una volta al governo, un presidente del consiglio cerchi di restarci il più a lungo possibile, e non è un mistero che Mattarella non sia così felice di un governo a scadenza, il classico governo-yogurt.
E’ strano che in un governo dove tutti o quasi gli ex ministri sono stati riconfermati, non ci sia almeno Zanetti, in precedenza viceministro: sarebbe stato molto facile mantenergli la poltrona, garantendogli una piccola promozione, e non sarebbe stato difficile nemmeno insediare un nome come Pera o Urbani all’istruzione. Se non è stato fatto, se per Ala e Scelta civica non è stato trovato nemmeno uno strapuntino, la scena si complica. E si torna al punto su cui insistiamo da giorni: Renzi non se ne vuole proprio andare, e se da una parte lo sottolinea chiedendo per i suoi ministri una quasi completa riconferma (il governo è clamorosamente un Renzi bis), dall’altra si garantisce sulla brevità della sopravvivenza di Gentiloni. Come abbiamo già scritto, qualunque sostituzione gli fa paura.
Restare in sella, costi quel che costi, altro che diventare il “deputato di Pontassieve”, come gli aveva suggerito Paolo Mieli. Anzi, proprio il messaggio di Mieli, uno che ha sempre ben interpretato l’aria che tira tra i potenti italiani, deve averlo spinto a immaginare il modo per evitare di farsi da parte. E dunque occhi aperti: se il progetto politico renziano, con la bocciatura della riforma, è cambiato, quello di potere no.