La signora Jelinek è donna matura, dalla vita sobria e riservata (il Nobel del 2004 glielo dovettero recapitare). Ed è davvero un caso, seppure in buona compagnia, in Austria. A lei e a Josef Winkler (un mediocre scrittore ora sugli scudi per la vittoria del prestigioso Büchenr-Preis) bisognerebbe chiedere di che cosa potrebbero scrivere se venisse loro meno la presenza storica del cristianesimo, del cattolicesimo in particolare. Se Winkler si esercita con continuità nella profanazione e degradazione dei simboli religiosi (in Germania lo premieranno non per tanto il valore letterario, quanto per aver “reagito alle catastrofi prodotte dalla sua infanzia cattolica”), la Jelinek non è da meno, e lo confermano alcuni suoi recenti scritti ispirati alla cronaca pubblicati, senza che sia possibile riprodurli, sul suo sito. Da ultimo quello intitolato Von Ewigkeit zu Ewigkeit (D’eternità in eternità), ispirato alla recente morte di Jörg Haider (ma il suo nome non viene mai citato).
Il Corriere della Sera del 24 ottobre ha voluto leggere questo testo come un “omaggio” dell’austriaca al politico spesso protagonista di atteggiamenti e proposte quantomeno provocatori. A leggere l’articolo firmato “Ma. G.” sembra quasi che la Jelinek voglia contribuire al permanere di un certo culto diffuso tra i seguaci di Haider. Sarà bene ricordare piuttosto che la scrittrice è stata per anni in prima linea contro la politica del FPÖ e del suo capo. Si legga il suo testo presente in Österreich. Berichte aus Quarantanien (Austria. Cronache da un Paese in quarantena) edito da Suhrkamp nel 2000. Per la Jelinek e gli altri che contribuirono a quel volume l’equazione era molto, troppo semplice: Haider era il nuovo Hitler e il partito liberale austriaco un nuovo partito nazista (“Una grossolana e menzognera semplificazione”, la definì allora l’equilibrato Luigi Reitani). Con questi presupposti, come si può pensare che la scrittrice abbia scelto ora la definizione di “Redentore” per rendere omaggio al politico scomparso lo scorso 11 ottobre?
Mai espressasi su livelli tali da assicurarle l’attributo di “geniale”, la Jelinek ricorre anche in quest’ultimo scritto alla lingua e alle forme più vere e radicate dalla cultura austriaca (del “Redentore” dice essersi trattato di un Gesù, con tanto di discepoli, il testo si conclude con un amen ed è corredato di una foto con sacerdoti accanto alla bara di Haider), oltre che ad una celebre poesia di Goethe, Il signore degli elfi. Del resto non è la prima volta che la scrittrice strumentalizza fatti di cronaca nera per elaborare il proprio odio verso il cattolicesimo. Era successo mesi fa con la vicenda di Josef Fritzl, l’incestuoso elettrotecnico di Amstetten. La trama di una vicenda così laida non poteva non interessare una scrittrice che del marcio e del reppellente ha fatto materia della propria opera. La Jelinek, ha pensato così di inserire il „caso Fritzl“ nel suo nuovo romanzo, Neid (Invidia), anch’esso on-line. Un’elaborazione tutt’altro che neutrale, quella partorita dall’austriaca, poco abituata ad interrogare il male e piuttosto ben disposta a sguazzare nelle torbide acque della morbosità.
La Jelinek non ha dubbi: un così terribile fatto non poteva che accadere nella cattolica Austria. Infatti Fritzl viene paragonato al Dio buono della cristianità e, in analogia con le triplice natura divina, la scrittrice immagina che per Elizabeth e per i bambini rinchiusi nel bunker il mostro sia stato per anni un essere dalla triplice personalità: padre, nonno e comandante in capo e così sia stato accettato. Questi sono i cristiani, in particolare gli austriaci. E’ questa la troppo facile conclusione della Jelinek. L’aberrante e strumentale relazione tracciata dalla scrittrice vorrebbe far credere che la figlia e i nipoti nati dall’incesto non fossero coscienti della natura criminale del padre-nonno perchè educati dalla fede cristiana alla cieca obbedienza.
C’è a chiedersi davvero che cosa sarebbe la Jelinek senza il cristianesimo: probabilmente solo un vuoto, se possibile ancor più triste sito internet.