Ma quale Medioevo o nazismo! Furono i comunisti a bruciare i libri

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Ma quale Medioevo o nazismo! Furono i comunisti a bruciare i libri

Ma quale Medioevo o nazismo! Furono i comunisti a bruciare i libri

16 Giugno 2020

Tratto da La Verità

Quando si parla di roghi di libri, subito il riflesso condizionato porta al Medioevo, o all’Italia fascista e alla Germania nazista. Anche in questo campo, dunque, vincono la propaganda e i luoghi comuni.

Certamente nel Medioevo si riteneva che vi fossero libri buoni e libri cattivi. Accade anche oggi, anche se non lo si dice: il Mein Kampf di Adolf Hitler, per esempio, è stato un libro vietato per decenni.

Sul Medioevo ci si dimentica di dire, però, che è stato proprio l’epoca dei libri: la Chiesa, la scuola, le Università medievali hanno prodotto manoscritti su manoscritti, creando cultura, desiderio di cultura, insomma la nostra europea “civiltà del libro”.

Osserviamo una persona china su di un libro, che legge o studia: la carta come la conosciamo noi è stata un’invenzione medievale italiana (Fabbriano); se il lettore in questione porta gli occhiali, deve anche in questo caso ringraziare i medievali (e l’Italia), che li inventarono; anche le finestre, che gli portano luce, sono un prodotto dei cosiddetti “secoli bui”.

Quanto a Gutenberg (1400 circa-1468), è stato un uomo del medioevo, non solo cronologicamente, ma anche culturalmente: la sua passione per la tecnica, così coltivata nel Basso medioevo, e il suo amore per la fede, lo portarono ad inventare la stampa a caratteri mobili, per rendere più fruibile la Bibbia, cioè il libro sacro di una civiltà che venerava Dio come Logos/Verbum.

Se balziamo al fascismo, il duce era un giornalista: conosceva bene il valore della carta stampata, ed impose la censura. Ma in Italia non ci furono mai roghi di libri, e gli editori italiani come Mondadori potevano pubblicare quasi tutto, compresa la letteratura straniera. Gli italiani non si sarebbero mai lasciati sedurre dalle manifestazioni barbariche e fanatiche che invece ci furono in Germania, con i roghi dei libri di Albert Einstein, Stefan Zweig e con il tentativo di sostituire la Bibbia con il Mein Kampf o con Il mito del XX secolo di Alfred Rosenberg.

Ma i paesi in cui davvero i libri furono bruciati e distrutti con una metodicità e sistematicità inaudita furono quelli comunisti.

I bolschevichi di Lenin andarono al potere promettendo che non avrebbero mai bruciato i libri, come aveva fatto lo zar in qualche circostanza, e che avrebbero lasciato la libertà di stampa. Una volta al potere, però, la moglie di Lenin assunse il controllo della cultura: ogni giornale, a parte quelli comunisti, fu vietato; i libri finirono tutti sotto la lente di ingrandimento dell’ideologia: colpevoli di essere o capitalisti, o borghesi, o religiosi, o passatisti, o sovversivi, o mistici… (Lucien X. Polastron, Libri al rogo, 2006)

Tutti finivano nel tritacarte del regime: Dostoevskij e Tolstoy, i grandi romanzieri russi dell’Ottocento, come pure i libri scientifici che divulgavano la genetica di Gregor Mendel o l’astrofisica di Georges Edouard Lemaître, padre del Big Bang, entrambi colpevoli di essere sacerdoti cattolici. Anche la relatività di Einstein, condannata dai nazisti come invenzione di un cervello ebreo, fu scomunicata dai comunisti con speciose argomentazioni.

I comunisti russi avevano accusato lo zar di aver bruciato 20.000 libri in un secolo: con loro al potere sarebbero state controllate tutte le biblioteche, anche quelle private; sarebbero stati bruciati sino a 20.000 libri in un solo giorno, nella sola città di Leningrado; sarebbero stati distrutti milioni di libri dei paesi conquistati, come l’Estonia, con l’intenzione di sradicare integralmente il passato di un popolo, per soggiogarne persino la memoria.

Il fatto è che i comunisti promettevano il paradiso in terra, un futuro di pace, prosperità, benessere, libertà… una palingenesi mitica, “terra nuova e cieli nuovi”: tutto ciò che era esistito prima di loro era colpevole, meritava la distruzione.

Scrive Adriano dell’Asta: “nel Paese che aveva inventato la pianificazione anche decidere cosa eliminare non poteva essere lasciato al caso; a questo scopo venivano regolarmente compilate delle liste nere, nel 1929 ce n’è una con duemila titoli, nel 1931 sono tremila, nel 1938 si arriva a cinquemila, di circa 1600 autori per circa dieci milioni di esemplari, nel 1948 abbiamo seimila titoli. Secondo dati ufficiali, nel 1938-1939 vennero distrutti 16.453 titoli per più di 24 milioni di esemplari mentre nel 1940 vennero distrutte tutte le opere (senza esclusione alcuna) di 362 autori e ritirati dalla circolazione circa 3.700 titoli…».

E negli altri paesi comunisti? Nella Cina di Mao, sua moglie Jiang Qing, ministro della cultura, esercitò un’ occhiuta censura, perché il “libretto rosso di Mao” doveva essere sufficiente, racchiudeva già quasi tutto ciò che serviva (potevano sopravvivere anche le opere di Karl Marx e qualche testo analogo).

Durante la rivoluzione culturale i giovani spezzavano statue di Confucio, abbattevano monumenti, bruciavano i libri (cosa che accade ancora oggi, in Cina, per i libri religiosi) accusati di essere “feudali”, “capitalisti”, “revisionisti”, “scoregge di cane”… Nella sola provincia del Liaoning andarono in fumo due milioni e mezzo di opere. L’insegnamento cinese farà scuola. Come ricorda P. Battista, in Libri al rogo, il leader dei comunisti cambogiani Pol Pot «intimò alle bande dei suoi adolescenti assassini di denunciare i genitori che avessero commesso il crimine borghese di possedere una biblioteca, per poi procedere all’annientamento fisico di tutti i nemici del popolo muniti di occhiali e dunque ‘intellettuali borghesi’».