Ma Repubblica vuole il voto anticipato o l’affossamento di Berlusconi?
27 Gennaio 2011
Se dopo un secolo e mezzo dall’Unità, l’Italia è ancora divisa, oggi come non mai, non è da imputare soltanto a disgraziate causalità, al destino cinico e baro, a ritardi e insufficienze politico-culturali o a distorsioni d’indole economico-sociale. A ben considerarli, gli scenari attuali sono affollati di eventi a dir poco singolari e dotati di una straordinaria forza divisiva, anche perché opportunamente mediatizzati. Buon’ultima (forse la più grave), in ordine di tempo, irrompe tra le ambasce del Paese la vicenda giudiziaria che vuole inchiodare il premier Berlusconi a un’accusa infamante: concussione finalizzata alla prostituzione minorile.
Difficile, in una società ben ordinata, immaginare responsabilità di pari gravità a carico del titolare di un potere dello Stato. Ma, poiché il diritto non è acqua fresca, né pascolo riservato a qualche benemerito ufficio di procura, prima o poi occorrerà sbirciare nel merito di un addebito che suscita tanta giusta attenzione, tanti comprensibili turbamenti. E questo anche al fine di concorrere alla necessaria ricomposizione, da ogni parte auspicata, di molteplici arene e segmenti della vita e della discussione pubblica.
Il bisogno è intensamente avvertito anche all’interno della Chiesa, se il cardinale Bagnasco, nel raccomandare sobrietà alla politica tutta, non esita a porre un interrogativo semplice e coraggioso: perché tante indagini? Improvvida domanda, e impertinente alquanto, quasi da peccatore. “Due abnormità”, le anomalie della politica e le devianze della giustizia, sullo sfondo di un “disastro antropologico”. Senza manicheismi. Equidistanza, più o meno interessata, è la percezione largamente condivisa. Nemmeno per sogno. Il ceto politico, se e quando abusa, infrange il patto morale con la comunità, alla quale rimane comunque ancorato in vista del redde rationem.
Il magistrato “accanito” su un determinato obiettivo everte e perverte, con la giurisdizione, i più elementari principi della civiltà giuridica, assi strategici dello Stato costituzionale di diritto. C’è una certa differenza. No, il cardinale non ha “dedicato” la sua prolusione ai magistrati inquirenti di Milano, anzi! Ma sarà almeno laureato? Gli capiterà mai di pontificare a pagamento (in contanti) roteando lo sguardo sbandato verso l’alto? E tuttavia, in compenso, il presidente della CEI non è forse immemore del monito evangelico nei confronti della religiosità farisaica: “I pubblicani e le prostitute vi precederanno nel regno dei cieli”, poiché è più facile per loro volgere, convertendosi, a nuova vita. Una luce di speranza, oltre l’ipocrisia, almeno per quanti non affogano nell’opportunismo cinico e speculativo, falsamente ammantandosi di indignato ethos civile.
Ora, un coro di voci costernate invita il primo ministro a presentarsi davanti ai magistrati inquirenti. Per… dimettersi? Circa i motivi delle dimissioni, tuttavia, l’opposizione sembra divisa, persino all’interno di uno stesso partito, l’Idv. Mentre Massimo Donadi pretende le dimissioni del premier perché “ha infangato paese e istituzioni”, l’ex pm Di Pietro le sollecita “non a causa dello scandalo” ambrosiano, ma “per ciò che il premier non ha fatto”. Leggi: per ragioni politiche, non per volontà e responsabilità della magistratura. Insomma, “si ritiri a vita privata”, senza se e senza ma. E soprattutto senza perché. Ma la “vita privata”, almeno quella, gliela vogliamo garantire? Prima o poi – ne siamo certi – si metteranno d’accordo.
L’ultimo rapporto Censis segnala, tra l’altro, il crollo del ‘desiderio’ nel nostro Paese. Eppure, basta scorrere qualche editoriale sulla grande stampa, per accorgersi che i soggetti desideranti non mancano. Come Barbara Spinelli e Repubblica. Vagheggiano l’“ostracismo” nei confronti del premier, un istituto giuridico dell’antica democrazia ateniese, che comminava l’esilio per dieci anni ai responsabili di illeciti di varia indole contro la sicurezza dello Stato. Una proposta intrigante, tuttavia: decidevano i cittadini, con voto a maggioranza semplice, nelle pochissime occasioni in cui esso fu applicato. Non il palazzo. Repubblica pensa dunque al voto anticipato? Oppure è solo un caso che la locuzione figurata “dare l’ostracismo” definisca un atteggiamento persecutorio nei confronti di qualcuno, per impedirgli di affermarsi o di svolgere la propria attività?
Secondo Plutarco – “Vite parallele: Aristide e Catone” – Aristide, soprannominato “il giusto”, subì l’ostracismo proprio a causa della sua integrità morale e dei suoi meriti, che lo rendevano, agli occhi di taluni, un potenziale tiranno, a prescindere dalla sua condotta, dai suoi programmi e dalla sua stessa volontà. Il che denota il carattere specificamente politico, non penalistico, del giudizio di ostracismo.
Nelle more, infatti, Barbara Spinelli non manca di scambiare l’invito del sapiente Eraclito al rispetto della legge, “logos” di ragione, giustizia ed equità, con la ‘libido’ di una passiva acquiescenza al diktat delle procure. Riscrittura dei destini, fallacia scoperta verso grottesche conclusioni: “la nostra storia è criminale”. Stranezze: in premessa, non era solo uno, il criminale?