Ma stiamo attenti a parlare di case chiuse!
29 Maggio 2008
di Carlo Meroni
Daniela Santanchè rinasce dalle ceneri della sconfitta elettorale e torna alla ribalta con una proposta che, a dire il vero, non brilla di estrema originalità: “Chiederò agli italiani di esprimersi con un referendum a favore della riapertura delle case chiuse dalla legge Merlin, per combattere la nuova schiavitù delle giovanissime, abolire l’odiosa figura dello sfruttatore, lasciare fuori dalle case delinquenza e droga, rendere sicure le strade e fornire alle ragazze protezione e controllo dal punto di vista igienico-sanitario”.
Tutto qui? Un obiettivo di piccolo cabotaggio…un po’ come convincere tutta Napoli e provincia a fare la raccolta differenziata della spazzatura entro ferragosto o riuscire a far produrre utili all’Alitalia entro fine 2008.
Scherzi a parte, le parole della Santanchè potrebbero essere anche condivisibili, ma Daniela è donna troppo intelligente per non sapere che siamo abitanti di quel mondo occidentale che non è esattamente il “Paese delle meraviglie” della favola di Lewis Carroll. Non è difficile perciò scorgere dietro una simile proposta ad effetto più il desiderio di riprendersi una ribalta persa con la trombatura parlamentare che una reale volontà di risolvere concretamente la situazione.
Ad ogni modo, auguri vivissimi alla Signora Garnero in Santanchè per la raccolta delle 500.000 firme necessarie.
Il fenomeno però è più che serio, e necessita di riflessioni assai profonde in merito a cause ed effetti non solo per chi gestisce o attua la prostituzione, ma anche per chi ne fruisce.
Lo scorso lunedì 26 maggio presso la camera del lavoro di Milano si è svolto un convegno promosso dal forum sulla prostituzione, Caritas e Provincia Milano al quale hanno partecipato don Luigi Ciotti dell’associazione Libera Gruppo Abele, l’assessore alla Politiche Sociali del Comune di Milano Mariolina Moioli, i rappresentanti della Provincia Arianna Censi (consigliere alle Politiche di genere) e Bruno Casati (assessore al Lavoro), il segretario generale della Cisl Milano Fulvio Giacomassi.
Le cifre snocciolate non possono che lasciare basiti: in Italia operano prostitute provenienti da 60 diversi paesi (Italia esclusa, Nigeria e Romania sono in cima alla lista col 35% cad. delle ragazze), un censimento (ovviamente indicativo e per difetto) indica tra 70 e 80 mila il numero di prostitute operanti nel nostro Paese, Il bacino di utenza conta oltre nove milioni di clienti, considerando un costo medio di 30 euro a prestazione si può quantificare in almeno 90 milioni il giro d’affari mensile del mondo del sesso a pagamento, per un business che quindi fa girare oltre un miliardo di euro l’anno.
Molti potrebbero liquidare l’argomento con le classiche argomentazioni riguardanti “il mestiere più antico del mondo”, ma a mio modo di vedere la questione merita invece un serio approfondimento, perché legata a doppio filo con i tanti mali della nostra moderna società occidentale.
Tralascio volutamente, ma assolutamente non perché siano tematiche di minore importanza, le questioni relative alla delinquenza: gli sfruttatori, il racket, le povere ragazze che si vendono in modo coercitivo.
In questi casi, tremendi perché fortemente lesivi della dignità umana, non possiamo fare altro che affidarci ad un buon operato delle forze dell’ordine, affinché assicurino alla giustizia i papponi e permettano così alle prostitute liberate di rifarsi una vita reinserendosi nel normale tessuto sociale della nazione grazie ad un vero lavoro.
Ma il mondo della prostituzione è anche un altro, purtroppo. Ed è forse quello che non si vuole vedere o si fa finta di non vedere.
Provate a cliccare su un motore di ricerca la parola “escort”. Poi ditemi quante centinaia di migliaia di siti vi vengono proposti in una frazione di secondo.
Si tratta di prostitute. Prostitute che si fanno chiamare “escort”, forse perché definirsi “di alto bordo” (…che poi sovente così alto non è…) fa meno male all’anima ed alla dignità, ma si sta parlando sempre e comunque di vendere sé stesse per denaro, anche se lo si fa a domicilio anziché sulla pubblica via. Sono ragazze che hanno deliberatamente scelto di fare questa vita. Perché?
E non crediate che sulla strada invece le ragazze siano tutte “schiave”. Per esperienza personale ne ho conosciute molte che si trovavano in questa penosa situazione (specie le ragazze di colore), ma ne ho conosciute anche tante altre che, davanti ad un’offerta concreta di lavoro che avrebbe garantito loro uno stipendio “legale”, non venivano nemmeno sfiorate dall’idea di abbandonare quella loro “libertà” per stare otto ore in una fabbrica ad assemblare cestelli di lavatrici. Senza contare che la loro “retribuzione” sulla strada, al netto della protezione, era comunque nettamente superiore (ed esentasse) rispetto a quella garantita dall’azienda.
Un altro aspetto: mai come ora ci si trova a parlare anche di prostituzione maschile eterosessuale. Anche in questo caso si è portati a catalogare diversamente il fenomeno: “gigolò” avrà anche quel non so che di francese che rende accattivante e simpatica l’idea, ma sempre di vendere il proprio corpo si tratta. La domanda ( e l’offerta si è adeguata)in questo caso ha avuto un aumento esponenziale negli ultimi anni: si parla di una richiesta decuplicata rispetto ad inizio secolo, e le donne (specie quelle di reddito medio-alto, le divorziate, le manager) non hanno più preclusioni a parlare con le amiche di un’allegra serata trascorsa con un aitante “accompagnatore”. Alcuni di questi, giusto per aumentare il livello di accettazione sociale, fanno sovente bella mostra di sé nei vari salotti televisivi per perditempo, seduti fra pseudofilosofi, attrici di fiction e scrittori di romanzetti. Del resto, con la scarsissima percezione che c’è al giorno d’oggi fra la fiction e la vita reale, se lo fanno le squinzie di “sex and the city”, non lo posso fare io che sono la manager rampante della Brianza?
Pregherei di soffermarsi a riflettere su un dato. La maggioranza della prostituzione (maschile, femminile o “trans gender” che dir si voglia) si svolge in appartamenti privati ben più che sulla strada. Questi molto spesso sono in affitto, ma non si è mai sentito di un padrone di casa che si rifiuti di offrire il proprio immobile venendo a sapere ciò che viene messo in atto al suo interno.
Non fa differenza affittare l’appartamento ad una prostituta o ad una giovane famiglia con due figli. Anzi, è da preferire di gran lunga la prima, perché dà meno noie e paga con cash fresco. E la dignità della persona? E la preferenza per chi mette a servizio la sua vita per una famiglia? Una volta che ho i soldi in tasca, sono problemi loro.
Ed infine, non è possibile dimenticare il problema dei clienti della prostituzione, siano essi maschi (la grande maggioranza) o femmine (la crescente minoranza).
Perché si accetta di scendere così in basso? Qual è il vanto che si può esibire, nel momento in cui si paga per avere una prestazione? Qual è la soddisfazione personale, oltre a quei pochi secondi dell’orgasmo?
Il fatto è che nessuno ha più voglia di aspettare nessuno, nessuno crede di doversi rapportare ad un altro, ed ognuno si sente unico padrone di sé stesso: un’isola sulla quale faccio quel che voglio, tanto attorno ho il deserto; anche se in realtà non è proprio così…
Ho voglia di questo o di quello? Pago e faccio. La mia ragazza non accetta di fare questo o quello? Beh, allora ho tutto il diritto di pagare e fare per conto mio. E’ stata una giornata dura al lavoro? Dico a mia moglie/marito che torno un po’ più tardi e mi concedo uno “sfizio”. Pago e quindi usufruisco, e chissenefrega dell’altrui rispetto, di chi mi aspetta a casa e di chi mi “metto sotto”.
Concludendo, che si parli di domanda o di offerta, è sempre il denaro che ci gira in tasca la principale causa e motore di queste scelleratezze. Questo è il terribile anestetico odierno che zittisce tutte le coscienze. Questo permette a tante ragazze (e ragazzi) di non farsi troppe domande su come stiano buttando al vento i migliori anni della propria vita, gli anni della gioventù. L’importante è guadagnare, tanto, in fretta, senza troppa fatica. E così potersi circondare di beni materiali, proprio come la star della tivù.
Inizia sempre come un “gioco”, proprio come tutte le tragedie, ed infatti sono molti i giovani che si è scoperto si prostituiscono la sera pur avendo un lavoro regolare o andando ancora all’università. Così, per arrotondare e permettersi qualche sfizio materiale (vestiti, gioielli, auto, droga….) e la conseguente maggior accettazione da parte della società. Sembra di aver scoperto la vera chiave alla felicità e del successo: guadagnare in un paio di serate quello che tutti gli “sciocchi” guadagnano lavorando 8-10 ore al giorno per un intero mese.
E lo squallore della mercificazione del proprio corpo? E la perdita della propria dignità di essere umano unico ed irripetibile, creato ad immagine e somiglianza del Divino? Ed i rischi connessi al frequentare persone sconosciute o certi ambienti pericolosi? Ed i rischi igienico-sanitari? E la possibilità di non saper più discernere l’amore vero da un gesto meccanico? Ed il rischio di un indurimento del proprio cuore che porta ad un’impossibilità di sperimentazione sincera degli affetti?
Nemmeno queste domande, apparentemente ovvie, riescono a reggere l’urto della devastante potenza seducente del denaro, guadagnato perlopiù senza fatica, soltanto ammiccando al cliente proprio come quella famosa star vista in tivù.
Per questo, ancora una volta, il lavoro più importante deve essere effettuato non sulle prostitute né sui clienti, e nemmeno parlando di case aperte o chiuse. E’ solo sull’educazione al fondamentale valore della persona intesa come principio ontologico nei confronti dei nostri giovani che bisogna lavorare sodo; affinché essi comprendano sia la invalicabile dignità ed unicità della persona umana; sia la reale, unica, totalizzante bellezza dell’esperienza sessuale che nasce dall’amore vero, illimitato ed avvolgente l’intera esperienza umana, nei confronti proprio di quell’unica persona, diversa ed a me complementare. Un amore che è il più grande regalo che si possa ricevere da quell’unica persona alla quale, contemporaneamente, ci si dona in tutto e per tutto.