Ma tra i motivi per abortire la 194 prevede anche il lavoro precario?
12 Maggio 2008
Alla fine Sandra ha scelto. Ha deciso di “essere egoista e di portare a termine la sua gravidanza, anche nel timore di non poter garantire al suo piccolo neppure la mera sopravvivenza”. Ha scelto che togliere la vita al bambino che porta in grembo è una scelta più difficile che affrontare le difficoltà di una vita a tre con 1300 euro al mese e un lavoro precario. Si è convinta che in fondo ce la possono fare, lei, il suo bambino, il suo pragmatico compagno che la ama, sua madre disposta a darle tutto il suo aiuto di nonna. Possono farcela anche in tre, in quella casa al centro dell’area vesuviana, che grazie al cielo non paga perché è di una zia. Possono farcela, nonostante il suo status sociale sia di molto inferiore rispetto a quello dei suoi genitori, nonostante i giovani di oggi siano sempre più senza futuro, nonostante quel futuro, a cui l’obbligata condizione di eterni adolescenti chiude le porte in faccia, si ripresenti dalla finestra in tutta la sua brutale serietà.
E noi non possiamo che rallegrarcene. Nonostante l’indignazione della prima ora per quella lettera a Napolitano così sfacciatamente fuori luogo, che nulla sembrava aver a che fare con il dramma intimo e sconvolgente dell’aborto. Nonostante l’ostentata disperazione di Sandra sembrata eccessiva se confrontats con la condizione di migliaia di donne sole e senza mezzi che con coraggio decidono che l’amore per il proprio figlio è talmente grande da volerlo far crescere da altri pur di dargli la vita. Ce ne rallegriamo perché a Sandra (e quindi al suo bambino) è stata data una seconda opportunità. Lei ha avuto la possibilità, anche grazie alla pubblica piazza, alla solidarietà di persone sconosciute, al pronto intervento di chi ha letto nel suo dramma il dramma di tutta la società, forse anche grazie all’interessamento del Presidente in persona, di fare una scelta diversa, di superare la disperazione e provare a guardare in faccia il suo futuro. Un futuro carico di responsabilità, certo, ma proprio per questo da affrontare con tutto l’impegno che una giovane donna coraggiosa sa di dover profondere per affrontare un’impresa dai tratti più grandi di lei. Ma c’è qualcosa in più di una pubblica e per molti aspetti non richiesta testimonianza personale che spinge a riflettere.
Il problema dei giovani che non sono in grado di progettare il proprio futuro oggi esiste. In questo c’entra fino ad un certo punto la precarietà di un lavoro che – come non manca di sottolineare Repubblica – crea generazioni di giovani asfittici e senza speranze. Di più c’entra il fatto che nel nostro paese per troppo tempo si è taciuto sui problemi delle famiglie per favorire e soprattutto tutelare altre categorie di individui o classi sociali. Si sono trascurate le opportunità delle giovani generazioni, per difendere i diritti acquisiti delle vecchie. Si è favorito un sistema rigido di strutturazione sociale, che ha imposto l’immobilismo più che la flessibilità e ha preferito un assistenzialismo mirato alla moltiplicazione delle possibilità individuali. Tanto che la storia di Sandra ha imposto a tutti, da Repubblica al Quirinale, passando per il governo di centrodestra, una riflessione seria che si traduca in scelte politiche al più presto. Per stimolare e promuovere ogni iniziativa a sostegno delle donne, per tutelare l’istituto della famiglia, attraverso ogni strumento legislativo possibile, per risolvere il problema della mancanza di un lavoro o di legislazioni carenti in materia di tutela della maternità. Per non parlare degli asili, delle scuole, delle agevolazioni per le mamme che lavorano…
Ma c’è anche qualcosa in più su cui riflettere, raccontando la storia di Sandra. Ed è qualcosa su cui proprio oggi ha chiesto di riflettere anche il Santo Padre: “Guardando ai passati tre decenni e considerando l’attuale situazione – ha detto Benedetto XVI – non si può non riconoscere che difendere la vita umana è diventato oggi praticamente più difficile, perché si è creata una mentalità di progressivo svilimento del suo valore, affidato al giudizio del singolo. Come conseguenza ne è derivato un minor rispetto per la stessa persona umana, valore questo che sta alla base di ogni civile convivenza, al di là della fede che si professa”.
Di fronte ad un allarme lanciato così drammaticamente una riflessione generale sull’applicazione della legge sull’aborto si impone. Perché Sandra avrebbe potuto abortire? In base all’applicazione di quale norma della 194? Forse tra i motivi d’interruzione volontaria di gravidanza figura anche il lavoro precario della madre? E perché è bastata la solidarietà umana per dare a quella donna una possibilità nuova? Se Sandra non è rimasta nell’ombra, e ce l’ha fatta, che ne è delle migliaia di donne che ogni anno si sentono costrette ad abortire perché non riescono a vedere una luce di speranza? Interrogativi che né quelli di Rep. né tanto meno la politica possono permettersi più di ignorare.