Macro-regione sì ma se ha un’identità adriatica

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Macro-regione sì ma se ha un’identità adriatica

31 Gennaio 2013

Si discute di macro-regione adriatica, di “corridoi”, “assi” della politica europea, e ad essere messo in primo piano com’è giusto che sia è l’elemento economico, fortemente collegato ad un discorso sulle infrastrutture e i trasporti. La dorsale adriatica dell’Italia, da un punto di vista geopolitico, ha una importanza strategica rispetto alla nostra penetrazione commerciale verso i Paesi Balcani e a la Mitteleuropa, e più in là verso la Russia e il Baltico. Così, anche per il piccolo Abruzzo, la programmazione legata agli obiettivi di Europa 2020 è un’opportunità per dotarsi di un sistema dei trasporti intermodale, rilanciando il tessuto delle imprese a vocazione internazionale sul territorio e promuovendo il proprio "brand" a Oriente.

La base materiale delle macro-regioni sono i trasporti, gomma, ferro, banchine, gasdotti, piattaforme logistiche dove far circolare liberamente uomini e merci. Non date retta alla propaganda antiglobalista di Grillo. La globalizzazione ha prodotto la crisi finanziaria, è vero, ma non dobbiamo dimenticare che ha prodotto una rivoluzione della mobilità senza precedenti ed ha aperto sfide che il Meridione italiano non può perdere. Ma le macroregioni devono avere un’anima. Dai tempi di Prodi e dei Corridoi, si pensi all’VIII che doveva unire il mar nero alla Puglia seguendo il percorso del gasdotto Gazprom, ed è finito con gli uffici europei della Fiera del Levante di Bari chiusi e il South Stream fermo in Serbia; dai tempi di Prodi, dicevamo, si dice sempre che se ci fossero state occasioni di crescita economica e integrazione commerciale a questa avrebbe seguito anche un risveglio sociale, culturale, eccetera eccetera.

Poi guardi “Corridor #8”, il lungometraggio del regista bulgaro Despodov, e scopri che quella identità comune tra le due sponde dell’Adriatico non è ancora stata trovata. Nei Balcani spesso le strade sono arrivate, ma sono vuote, percorse da uomini in bici o su carretti, o attraversate addirittura da branchi di capre. Una sorta di sfasatura temporale che ci riporta al mezzogiorno delle Cattedrali nel Deserto, una superba politica di opere pubbliche che si lasciavano attorno comunità divise e abbandonate all’arretratezza. Per cui va bene sfruttare le opportunità di "Europa 2020", ma assicuriamoci prima che l’Adriatico sia anche uno spazio culturale comune. L’identità è la stessa, gli scambi commerciali religiosi e culturali non sono mai mancati. E se riusciremo ad andare oltre i cliché dei Balcani luogo di eterno conflitto, una idea causata dal crollo della Ex Jugoslavia e dalle guerre balcaniche che hanno insanguinato l’Europa sud-occidentale negli ultimi anni, forse l’Adriatico non avrà fatto solo un favore economico all’Italia, non avrà contribuito solamente a migliorare la sicurezza nel Mediterraneo, ma diventerà anche un potente motore culturale.

Ricordiamo che la Slovenia fu il primo Paese dell’ex blocco comunista a entrare nell’Eurozona. Croazia, Montenegro, Macedonia, Bosnia-Erzegovina, Albania, Kosovo, sono pronti. La Serbia aspetta ma l’intenzione c’è. La Grecia fu il cuore simbolico del risorgimento europeo del XIX secolo ed in Europa per fortuna c’è rimasta, nonostante le tempeste del XX.