Macron, Amnesty e Regeni
25 Luglio 2017
Siamo alle comiche: dopo aver incontrato Donald Trump, l’intraprendente presidente Macron scippa all’Italia il ruolo di playmaker in Libia, organizzando un bel vertice a Parigi fra i due grandi rivali che si contendono il potere nella ex “Jamaria” di Gheddafi: il premier Al Sarraj, legittimato dalle Nazioni Unite ma rinchiuso nelle ‘ridotta’ di Tripoli, e il generale Haftar, spalleggiato dall’Egitto, che si prepara a marciare proprio su Tripoli. Per Macron, comunque vada, è una convincente “photo-opportunity”, un messaggio chiaro alla Casa Bianca e al “Don” che aveva chiesto a Gentiloni di giocare da centravanti in Libia. Vedi come ci stiamo dando da fare noi francesi nel Mediterraneo?, altro che gli italiani.
E il nostro governo che fa? Siamo alle comiche, appunto: plaude al vertice organizzato a Parigi. Gentiloni auspica “un contributo positivo” dall’incontro, mentre il ministro Alfano assicura che Italia e Francia in Libia si muovono in assoluta “sinergia”. Ma quando mai, Macron ha fatto tutto da solo e l’avevamo già scritto 72 ore fa sull’Occidentale, quando ancora il vertice non era stato ufficializzato ma i ben informati giornali sauditi avevano lanciato la notizia. Il vertice di Parigi, dunque, è l’ennesimo smacco per l’Italia, sempre più isolata a livello internazionale. La Francia è il Paese che sei anni fa, nel 2011, diede il via al disastro libico con i bombardamenti dei suoi caccia Rafale che contribuirono alla distruzione del regime di Gheddafi, aprendo le porte a una guerra civile sanguinosa (vedi alle voce “primavere arabe” obamiane) e alla emergenza migratoria che ormai è sotto gli occhi di tutti, con 300mila sbarchi di migranti illegali in Italia negli ultimi tre anni e altre 250mila persone che si preparano a partire sulla rotta di Lampedusa. Macron mette al tavolo Sarraj e Haftar e i nostri Gentiloni e Alfano, premier e ministro degli esteri, che dicono? Invece di stigmatizzare l’avventurismo anglo-francese di allora, si allineano al furbetto ma risoluto inquilino dell’Eliseo.
Del resto renziani e loro alleati, sulla Libia, hanno sbagliato tutto da tempo, puntando sul debole Sarraj per fare l’ultimo favore a Obama, salvo adesso cercare di rimediare salvando il salvabile con l’uomo forte in Libia, Haftar, dicevamo spalleggiato dall’Egitto e non sgradito agli americani e neppure ai russi. Adesso ci manca solo una cosa, che Gentiloni presti ascolto ad Amnesty International, l’organizzazione umanitaria che chiede al nostro governo di non rimandare il nostro ambasciatore al Cairo a settembre (come sembra accadrà a sentire i boatos), dopo che Roma aveva ritirato la sua feluca dall’Egitto per protesta a seguito dell’omicidio del ricercatore italiano Giulio Regeni. Sul caso Regeni ancora non si è capito quali sono le responsabilità e dove portano precisamente le piste emerse intorno alla morte del ragazzo di Fiumicello. Ecco, nel frattempo, dopo esserci fatti scippare da Macron l’agenda libica, non esserci attaccati a Trump, e aver puntato tutto sul cavallino storno Sarraj, diamo anche il colpo di grazia alle nostre relazioni diplomatiche con il Cairo, sponsor di Haftar in Libia! Insomma, arrendiamoci alla mancanza di iniziativa, agli errori di strategia, e alle nostalgie omabiane ancora imperanti nel governo italiano.
Tutto questo mentre Gentiloni, Alfano e pure il più scaltro Minniti strologano sul ruolo dell’Italia in Africa. In Libia, la porta dell’Africa, siamo stati messi ualla porta. E con l’Egitto, speriamo solo di non strozzarci di nuovo con le nostre stesse mani.