Macron, Corbyn e la crisi della rappresentanza

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Macron, Corbyn e la crisi della rappresentanza

13 Giugno 2017

I giornaloni italiani sono impazziti per Corbyn e Macron, due leader agli antipodi. Né si capisce il grande entusiasmo per Macron, tra i cui primi atti c’è stata la sospensione dell’accordo del governo Valls per la vendita a Fincantieri dei cantieri navali di Saint Nazaire in Bretagna. L’europeista Macron è nazionalista, quando è in gioco l’interesse della Francia e i nostri giornaloni non si sprecano a difendere Fincantieri: la musica sarebbe stata diversa se si fosse minacciata FCA, con sede ad Amsterdam e domicilio fiscale nel Regno Unito. 

Corbyn, che parla di statalizzazione, metterebbe dazi alle auto FCA. Furiosi per la Brexit, tutti a prevedere la fine della perfida Albione alle prese col “neomarxista Corbyn”. In realtà, Corbyn è simile a Bernie Sanders, ma non ha vinto le elezioni, ha guadagnato 29 seggi impedendo ai tory di raggiungere la maggioranza assoluta e per questo May, con la maggioranza relativa, formerà un governo con gli unionisti nord-irlandesi, come Cameron lo fece con i liberali di Nick Clegg, senza alcun scandalo. 

May e Macron hanno in comune di essere votati soprattutto dalla fascia over 60. La May ha sbagliato la campagna, invece di centrarla su Brexit, si è incollata sulla stabilità e ha commesso l’errore della “dementia tax”. La May era una brexiter tiepida, non ha avuto la forza che avrebbe avuto Boris Johnson, il leader del Leave, per spiegare la strategia della Brexit. E’ mancato il carisma di “BoJo”, che però adesso la difende. Come Corbyn, Macron è stato votato anche da cittadini di origine araba e africana e dagli accademici, quelli che hanno maggiormente beneficiato dei finanziamenti Ue. A differenza di Macron, Corbyn è stato votato dalla fascia dai 20 ai 45 anni, la fascia dei precari, perché la polarizzazione non è più di classe, ma generazionale. Uno dei punti chiave del programma di Corbyn è mettere fine al lavoro gratuito degli stagisti.

La “grande vittoria” di Macron alle elezioni legislative è di avere avuto il 32, 32%, con un astensionismo del 51, 29%. In Francia è andato a votare solo il 48,71%, una cosa mai vista nella storia della Quinta Repubblica. Il 51% dei francesi non crede più ai partiti, al voto, e si organizza in movimenti sociali per opporsi a Macron, una specie di Thatcher francese. Ma non sono più gli anni della Thatcher: nell’America di Trump si riaprono le miniere di carbone per dare lavoro. Macron dovrà gestire il malcontento dei precari, dei disoccupati, dei perdenti della globalizzazione. E se si pensa ad Avril, il romanzo di fantapolitica, di Jérémie Lefebvre, avrà un bel daffare.

Lefebvre immagina una seconda rivoluzione francese, la rivoluzione dei precari, che rimette addirittura  in funzione la ghigliottina. E’ un romanzo di fantapolitica, come Soumission di Houellebecq, ma coglie il punto di rottura della società attuale. Da noi vincerà chi saprà dare soluzioni alla fascia dei precari e disoccupati, oltre a quello dei migranti. Occorre investire sui giovani, perché l’invecchiamento della popolazione dei paesi europei che si affacciano sul Mediterraneo e il boom demografico africano e arabo rischiano in pochi decenni di trasformarci in minoranza nell’ex Mare Nostrum. Soltanto la Nigeria ha 400milioni di abitanti.

Per questo il Regno Unito, e soprattutto il ministro degli esteri, Boris Johnson, come ha scritto sullo Spectator, è deciso a riportare l’ordine in Libia e a creare le condizioni perché l’Africa riesca a svilupparsi. Invece di imprecare contro la Brexit, per continuare a vivere in quest’Europa senile, incapace perfino di una difesa e il cui business principale sono i migranti, dovremmo ringraziare gli inglesi che hanno dato una bella scossa al Continente in marcia verso il niente.