Macron, il presidente delle élite che piace ai Fratelli Musulmani
28 Maggio 2017
E’ stato Henry Hermand – il ricchissimo imprenditore socialista (morto lasciando agli eredi un patrimonio di 220 milioni di euro) – il primo ad investire su Emmanuel Macron. O meglio a costruire la figura dell’“uomo nuovo” che ora il presidente porta a spasso con il suo faccino ambizioso. Il primo, Hermand, dopo Brigitte, ovviamente, la donna che la stampa di tutto il mondo ha osannato sebbene sia difficile intuire cosa ci sia di così encomiabile nell’abbandonare figli e marito per uno sbarbato liceale, che per giunta è un suo studente e coetaneo di quei figli. Fu Brigitte a volere che Emmanuel imparasse un mestiere, altrimenti, gli disse con una battuta, “avrai solo l’aria di un gigolò”. E l’allievo obbediente accettò ogni indicazione. Anche quella di essere affiancato da qualcuno che gli spiegasse come impostare la voce. La “zeppola”, la voce chioccia, a volte stridula e fastidiosa, erano tutte cose da sistemare, prima che fosse troppo tardi.
A finire l’opera ci ha pensato Henry Hermand. Macron non sapeva di poter diventare presidente della Repubblica, ma l’imprenditore lo individuò mentre faceva uno stage in una prefettura della Francia centrale, e se ne “innamorò”. Così Emmanuel iniziò a frequentare ”Terra Nova”, l’associazione d’ispirazione socialista finanziata tra gli altri da Hermand – che gli darà le armi de’ sinistra per la retorica sul ‘sociale’ – diventando poi ospite sempre più assiduo nella casa del suo mentore. Hermand è stato il testimone di nozze di Macron e lo avrebbe anche aiutato a comprare casa a Parigi.
Nonostante la vittoria alle presidenziali, Macron è come una baguette che hanno cercato di far lievitare senza successo. Avrà pure vinto ma resta il presidente delle élite e come tale non sa proprio quale sia la differenza tra la vita reale e quella dietro le telecamere. Il 7 maggio ha vinto le elezioni con la più alta percentuale di astensionisti della storia francese: tra chi lo ha votato, c’era per lo più chi ha in odio Marine Le Pen. Non è così centrista come lo hanno venduto in campagna elettorale: a sostenerlo è stata la maggior parte dei leader del partito socialista, e quando c’è stato il passaggio di testimone con Hollande, quest’ultimo non ha potuto nascondere la gioia di una vittoria all’insegna della “continuità”.
E’ il socialismo ad essere il fil rouge della narrazione macroniana. Ismael Emalien – stratega e capo della comunicazione di Macron – è stato consulente della campagna elettorale del 2013 del presidente del Venezuela, Nicolás Maduro. E anche il programma macroniano trasuda di socialismo, abbondano le proposte per l’incremento della spesa pubblica. Il “cambiamento climatico” viene considerato invece la “questione chiave per il futuro del mondo”, nonostante organizzazioni come WikiLeaks si siano impegnate a dimostrare che molte delle denunce lanciate dagli scienziati onusiani sul clima erano bufale, vedi il “Climategate”, e in generale anche nella comunità scientifica ormai il paradigma del riscaldamento climatico è stato sostituito da quello della incertezza, com’è giusto che sia visto che parliamo di proiezioni costruite su modelli matematici che non possono risalire oltre una certa epoca all’indietro nel tempo, e certamente non predicono il futuro.
Ancora. Le proposte di modifica al codice del lavoro e al sistema fiscale sembrano pura estetica, l’illusione di un cambiamento che difficilmente si trasformerà in politiche concrete. Al bell’Emmanuel piace l’economia di mercato ma il presidente pensa comunque che questo mercato debba essere messo al servizio di una fantomatica “giustizia sociale”. Gli economisti che hanno lavorato alla stesura del programma del leader di En marche! sono gli stessi che hanno lavorato al programma economico di Hollande nel 2012. Quando il 7 maggio è stato ufficializzato il nome del nuovo inquilino dell’Eliseo, tanti capi di stato europei hanno mostrato il loro entusiasmo. Addirittura il numero uno della commissione europea, Juncker, ha parlato di “un segnale di speranza per l’Europa”. Macron però non ha fatto neanche in tempo ad insediarsi che è subito volato dalla Merkel, e le idee lanciate in campagna elettorale su come proteggere i mercati europei sono rimaste lettera morta – del resto è noto che in Europa a dettare l’agenda è Berlino mica Parigi. Ma il nuovo presidente della Republique insiste, dice di sognare un nuovo Ministero della Finanze europeo, le cui decisioni possano avere una forza vincolante per tutti gli stati membri.
Come molti suoi colleghi in Europa, Macron è convinto che il rimedio al crollo demografico e all’invecchiamento della popolazione sia nell’immigrazione. “L’immigrazione è un’opportunità per tutti”, ha detto il presidente. “Proporrei al governo algerino la creazione di un ufficio franco-algerino della gioventù, per favorire la mobilità tra le due sponde del Mediterraneo”, ha aggiunto. “Il compito dell’Europa è quello di offrire asilo a tutti”, ci mancherebbe, peccato che quella dell’accoglienza, come dimostra il caso dell’Italia, non può certo essere considerata una politica sulla immigrazione.
Detto ciò, la stragrande maggioranza dei rifugiati che arrivano in Francia sono musulmani. La Francia ha già la maggiore percentuale di musulmani in Europa. La Francia è in guerra con una parte fondamentalista e radicale di questo Islam, che punta a sovvertire la nostra civiltà, in casa nostra,a suon di bombe, attacchi kamikaze e civili innocenti uccisi senza pietà. Eppure Macron vorrebbe dare all’islam ancora più spazio. “Oggi, i musulmani di Francia sono trattati male…”, ha detto il presidente, “domani, una nuova struttura renderà possibile il rilancio della religione musulmana in Francia: saranno costruiti e migliorati i luoghi di culto islamici”. Quando Macron ha vinto, i Fratelli Musulmani francesi si sono congratulati con lui e hanno festeggiato con un comunicato ufficiale: “i musulmani pensano che il nuovo presidente gli permetterà di andare più lontano, insieme”. Edouard Philippe, il premier indicato da Macron, ha stretti legami con la Fratellanza Musulmana e ne ha favorito l’insediamento nella città di cui era sindaco, Le Havre.
Richard Ferrand – deputato socialista e il segretario generale di En Marche!, ora ministro per la coesione dei territori – ha finanziato i movimenti per il boicottaggio dello Stato ebraico e altre organizzazioni “pro-palestinesi”. Gerard Collomb, il sindaco socialista di Lione, attuale ministro dell’Interno, ha finanziato l’Istituto francese della civiltà musulmana che aprirà i battenti a dicembre 2017. Eccolo il prodotto confezionato dall’élite: un giovane presuntuoso, che in politica economica non va molto oltre il tradizionale statalismo francese, che sulla immigrazione non cambierà una virgola rispetto al passato, anzi, è convinto che gli immigrati musulmani aumenteranno, unica risorsa in grado di alimentare il granaio dei voti sempre più vuoto dei socialisti e della sinistra. Fa niente se per vincere servono anche i Fratelli Musulmani, organizzazione ritenuta terrorista dagli Stati Uniti e dall’Egitto, che in passato anche l’Europa aveva inserito nelle sue black list.
E forse, come nell’ultimo e distopico romanzo di Houllebecq, arriverà il giorno in cui non ci sarà più neanche bisogno di candidare un presidente creato in laboratorio. Per garantire la “continuità” del sistema politico, che vuol dire anche quella delle elite e dei poteri forti, sarà sufficiente candidare direttamente un Fratello Musulmano all’Eliseo. Chissà però cosa accadrà in caso vincesse.