Macron “re travicello” nella Francia che ha paura del futuro
09 Maggio 2017
di Daniela Coli
Il nuovo monarca della République, il telegenico Macron, si è incoronato in una location suggestiva, fortemente simbolica, perfino esoterica, mai scelta prima da alcun presidente, di fronte al Louvre e alla famosa piramide di Mitterand e del Codice da Vinci. Non in Place de la Concorde come i presidenti gollisti o alla Bastiglia come i presidenti socialisti. A parte la scenografia, il discorso di Macron è stato generico e confuso, centrato sul passato (l’illuminismo e l’umanesimo), la continuità (l’incontro con la Merkel), generiche affermazioni di solidarietà, sul libero scambio, sulla protezione dei deboli e sulla modernizzazione del mondo del lavoro, ma di Europa, eccetto una vaga proposta di federazione e l’inno alla gioia di Beethoven tra lo sventolio di bandiere francesi, il nuovo presidente ha detto ben poco.
Eurointelligence di Wolfgang Münchau ci informa sul fatto che solo il 16% degli elettori ha votato Macron per il suo programma e solo l’8% per la sua personalità. Macron ha avuto il 66% dei voti, ma il 61% dei suoi elettori non vuole che vinca le prossime legislative. Macron ha vinto soprattutto per il voto degli over 60 e, soprattutto, degli over 70enni, il 70% del suo 66%. La Francia è insomma un paese bollito come l’Italia e Macron sarà un re merovingio, un re fannullone, anche se si è atteggiato a re taumaturgo: “Vi proteggerò”. Mancava dicesse “Vi guarirò dalle scrofole” e il quadretto sarebbe stato completo.
“Il mondo ci guarda, l’Europa ci guarda”, ha detto Macron di fronte alla piramide e al Louvre, ma la location dell’incoronazione non è la Francia reale, il Paese di oggi, bensì il passato, il passato di una vecchia potenza da troppi anni in declino. Un giovane monarca di un regno in declino che si attacca a ciò che resta della retorica obamiana, alla “speranza” (“hope”), la parola che è stata ripetuta più spesso nel discorso del nuovo presidente, oltre al rilancio dell’ambientalismo, altro “must” fallimentare dei programmi obamiani. In realtà quello francese non è stato il voto della speranza, ma della paura del cambiamento, il voto dello status quo.
Intanto però il mondo è cambiato. La Francia ha un grande passato alle spalle, resta una potenza atomica, ma purtroppo per Macron il nuovo inquilino dell’Eliseo non potrà certo permettersi di spendere 50 milioni di euro per una sventagliata di missili sulla Siria, in stile “shock and awe”, come quella ordinata dal presidente Trump: un diversivo, come ha spiegato l’edizione europea di Politico, per far credere ai governi della Ue che l’America sarebbe rimasta il partner di sempre, buono a proteggere i Paesi membri della Unione. Ma l’America non è tornata, anzi, vuole il 2% del nostro Pil per la NATO. E adesso ci troviamo di fronte a una Francia (e a un’Europa) in declino, senile, chiusa nel passato, che non ha capito che l’ordine mondiale sta mutando anzi muta a una velocità sorprendente.
Macron ha promesso grandi riforme economiche ma figurarsi cosa potrà fare il nuovo presidente in un Paese statalista come il suo, al massimo il problema sarà riuscire a ottenere flessibilità nei conti, come un Renzi o uno Gentiloni qualsiasi. Macron è stato eletto col 66%, ma con un astensionismo del 26% e più di un milione di schede bianche e nulle, tra l’8 e l’11%. Marine Le Pen ha preso il 34%, più di dieci milioni di voti. Quindi Macron deve fare i conti con l’opposizione della maggioranza dei francesi (quasi il settanta per cento), mentre il 61% di chi lo ha votato non vuole che vinca le legislative. Se gli elettori di Melénchon e di Marine Le Pen, l’estrema destra e l’estrema sinistra, la generazione che va dai 20 ai 40 anni, il futuro della Francia, si fossero uniti, avrebbero vinto.
Non è riuscito a Marine ciò che è riuscito a Trump: conquistare l’elettorato deluso della sinistra, gli elettori di Bernie Sanders, per intenderci, e anche i gollisti delusi. La “dédiabolisation”, il metodo con cui da anni Marine Le Pen sta cercando di rimediare alla demonizzazione del suo partito, il Fronte Nazionale, tutto sommato, ha funzionato; per quanto il Fronte non abbia superato la soglia psicologica del 40 per cento ha comunque ottenuto il suo miglior risultato da sempre. Macron, insomma, non ha vinto perché i francesi hanno paura del Fronte Nazionale, ha vinto perché vive in un Paese che ha paura del futuro. Macron si compiace del passato, ma la Francia è debole, non ha la forza e la sicurezza del Regno Unito, che ha l’Atlantico, il Commonwealth e una storia vincente alle spalle.
La Francia non si è neppure accorta di essere diventata irrilevante in Medio Oriente, dove la palla ormai l’hanno russi, turchi, inglesi e americani, decisivi per l’Arabia saudita. Per questo gli inglesi se ne sono andati dalla Ue: non abbiamo bisogno del passato, ne abbiamo fin troppa di storia, abbiamo bisogno di futuro. Così ragiona Londra. E il futuro si costruisce solo uscendo dagli steccati ideologici del passato, dalla paura del futuro.
Marine Le Pen ha deciso di cambiare nome al suo partito e di trovare degli alleati creando uno schieramento: se al prossimo confronto elettorale invece di rivangare il passato coloniale e la sconfitta di Algeria, andrà al sodo, parlando più concretamente della Francia di oggi, di come, grazie a Hollande, la Francia e l’Europa hanno perso il Medio Oriente (per non dire del disastro libico), di come cinesi e russi possono espellere la République dall’Africa, se Marine riuscirà a far passare l’idea che alla Francia non conviene più un’alleanza con la Germania che dentro ha 7 milioni di turchi elettori di Erdogan, forse, allora, i francesi si renderanno conto che, certo, il futuro è ignoto, ma il presente e una specie di suicidio politico dosato con perversa lentezza. Ma forse, in fondo, alla Francia, come l’Italia, alla Germania, all’Europa continentale, alla piccola Europa del trattato di Roma, non resta altro che questo, solo un passato remoto glorioso, e le micidiali sconfitte del Novecento, che sembrano averci tolto ogni speranza.