Maggioranza sette volte sull’orlo di una crisi di governo
26 Ottobre 2007
Sette volte sotto e l’approvazione finale con soli tre voti di scarto. Si è conclusa così una giornata di votazione al cardiopalma a Palazzo Madama con il centrosinistra che ha mostrato più volte di essere sul punto di crollare definitivamente. In effetti il timore è stato avvertito anche a palazzo Chigi tanto che lo stesso premier è dovuto scendere in sala stampa per richiamare tutti all’ordine. Ma anche così la maggioranza non è riuscita ad evitare ulteriori scivoloni di cui uno in particolare, quello sull’emendamento presentato dal dissidente Turigliatto, potrebbe costare molto caro. Infatti il raddoppio del bonus per gli incapienti passato con i voti della CdL ora rischia di far saltare i tetti di spesa previsti all’interno del decreto.
Ma questo è solo uno dei tanti problemi a cui l’Unione adesso dovrà far fronte alla Camera. Infatti ora l’attenzione si sposta a Montecitorio dove già molti esponenti del centrosinistra si dicono pronti a modificare il decreto legge per rimetterlo in linea con le impostazioni iniziali del governo. Compito non facile visto che anche alla Camera la maggioranza ha dimostrato in passato limiti di tenuta. E poi il provvedimento dovrà ritornare al Senato per l’approvazione definitiva. Il tutto entro il primo dicembre per evitare che il provvedimento decada. Quindi siamo solo all’inizio di un ciclo terribile. Ed il principio non è stato dei migliori considerando che il centrosinistra si è trovato all’angolo per ben sette volte. Solo verso l’una di questa notte è stato possibile trovare quei 158 voti che hanno consentito di licenziare il provvedimento. Il minimo indispensabile. Ma è stata dura.
Che le cose non sarebbero state facili lo si era capito già in mattinata quando è arrivata la prima bocciatura, pesante, su un emendamento che prevedeva lo scioglimento della Società per il Ponte sullo Stretto di Messina. A bocciarlo un’inedita maggioranza composta da Italia dei Valori e Casa delle Libertà oltre a due rappresentanti della costituente socialista. Un brutto colpo che ha fatto tremare tutta l’Unione. Immediate le accuse al ministro Di Pietro, reo di aver votato con il centrodestra e di aver evitato lo scioglimento della società tanto invisa soprattutto alla sinistra radicale. E proprio da questo versante sono piovute le critiche più aspre con Diliberto che ha subito annunciato di essere pronto a ripresentare alla Camera l’emendamento.
Dopo poco più di un’ora il secondo scivolone. Bocciato l’emendamento che prevedeva lo smantellamento della Scuola per la Pubblica Amministrazione. Stavolta a votare con il centrodestra i diniani. E via a nuove critiche e processi nella maggioranza, ormai sempre più divisa. A tal punto che nessuno si è sentito di azzardare l’ipotesi di mettere la fiducia al provvedimento. Troppo alto il rischio di non trovare i numeri necessari. E così si è andati avanti in ordine sparso e soprattutto facendo affidamento sui senatori a vita, in particolare Rita Levi Montalcini ed Emilio Colombo. Pochi però due voti di vantaggio ed infatti nel pomeriggio due nuovi scivoloni per il centrosinistra. In alto mare l’emendamento che prevedeva nuove assunzioni al ministero della Giustizia e quello sull’indicazione delle aree regionali per il passaggio al digitale. La situazione non cambia in serata e stavolta protagonista in negativo è il premio nobel Montalcini che assentandosi un momento fa cadere l’Unione. A farne le spese un emendamento che tagliava i contratti di consulenza della Cassa Sportivi. E sempre la senatrice finisce poco dopo sotto il tiro dei senatori del centrodestra, escludendo mezza Forza Italia e l’Udc. Accusata per via dei finanziamenti stanziati alla sua fondazione da questo stesso decreto. Decreto che lei con il suo voto ha permesso di giungere all’approvazione.
Infine l’ultimo scivolone per il centrosinistra a notte fonda, sul bonus previsto per gli incapienti. Un raddoppio da 150 a 300 euro così come richiesto dal senatore Turigliatto e approvato grazie al sostegno della CdL. Cinque miliardi che ora rischiano di mandare a monte i bilanci del decreto. Ora la palla passa alla Camera ma nell’Unione già si pensa a quando il provvedimento ritornerà a Palazzo Madama. Anche se stando alla previsione del Cavaliere per quel tempo Prodi avrà già fatto le valigie da Palazzo Chigi. E di decreto fiscale collegato alla legge finanziaria forse non se ne parlerà più.