Magliocca si aggiunge alle vittime del giustizialismo all’italiana
21 Febbraio 2012
Ci sono voluti 347 giorni per vedere conclusa la vicenda giudiziaria che ha travolto la vita privata e politica di Giorgio Magliocca, ex sindaco Pdl di Pignataro maggiore. La spada di Damocle, retta delle accuse di favoritismi nei confronti del clan camorristico Lubrano-Ligato, ha pesato sulla testa di Magliocca dal marzo 2011 fino ad oggi. Cosa ben più grave se si pensa che buona parte di questi giorni, 257 per l’esattezza, l’ex-sindaco di Pignataro Maggiore li ha trascorsi in carcere e il resto ai domiciliari.
Di cosa era accusato Magliocca? Secondo i magistrati della DDA Giovanni Conzo, Alessandro Milita e Liana Esposito coordinati dal procuratore aggiunto Federico Cafiero de Raho, Magliocca avrebbe consentito al clan camorristico Ligato-Lubrano di continuare a gestire beni che erano stati confiscati e che erano stati dati in gestione proprio al sindaco. In particolare, al posto di destinare una villa e alcuni appezzamenti di terreno a scopi sociali, avrebbe consentito che l’edificio fosse devastato, anche con l’asportazione degli infissi, e che i terreni fossero coltivati.
Queste accuse gravissime non hanno retto al punto che il procedimento si è concluso con l’assoluzione da parte del gup perché il fatto non sussiste. “L’ipotesi accusatoria si è, infatti, rivelata assolutamente inconsistente – spiega il legale di Magliocca, Mauro Iodice – non è stata un’assoluzione che poteva lasciare adito a qualche ipotesi di dubbio, ma un’assoluzione secondo il primo comma. Insomma, c’era la prova dell’insussistenza del fatto”.
Ma in quest’ultimo anno on sono state solo le accuse dei magistrati a gravare sul capo del sindaco trentottenne di Pignataro: dal giorno dell’arresto, infatti, una valanga di accuse e offese si è abbattuta sulla sua persona. A partire dalla vicenda sollevata dalla magistratura, gli avversari politici si sono sentiti autorizzati a dare il via a un bombardamento mediatico che ha investito non solo Magliocca ma persino il Sindaco di Roma, Gianni Alemanno, del quale l’ex-sindaco di Pignataro è stato collaboratore. Anche la stampa, in questo senso, ha fatto la sua parte. Per non parlare delle accuse di Roberto Saviano a Giorgio Magliocca, alle quali l’allora sindaco di Pignataro rispose con una denuncia per diffamazione e alla quale seguirono delle scuse immediate da parte dello scrittore di “Gomorra”.
L’attuale sindaco di Pignataro, Raimondo Cuccaro (Pd), è stato uno dei più accaniti accusatori di Magliocca. Basta scorrere le notizie e le dichiarazioni per trovare le tracce di una sentenza in qualche modo già pronunciata, almeno da parte di certi esponenti del Pd tra cui, appunto, Cuccaro: era il marzo 2011 quando i titoloni recitavano all’unisono “Magliocca favoriva i clan”. Ora i sostenitori di Magliocca, alla notizia del proscioglimento, si sono riversati in massa in piazza per invocare le dimissioni dell’attuale sindaco.
Forse qualcuno dimentica troppo spesso che nella nostra Carta Costituzionale c’è un articolo, il numero 27, che al comma 2 recita così: "L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva". Quel principio secondo il quale a prevalere dovrebbe essere sempre e comunque la presunzione di innocenza, ma che nei fatti si traduce in un marchio di infamia attribuito d’ufficio. In parecchi casi accompagnato da un periodo di espiazione preventiva in carcere, salvo poi accertare l’assenza dei presupposti di colpevolezza che giustificano una tale restrizione della libertà dell’individuo. Un altro caso, quello di Magliocca, su cui riflettere. Magari per cambiarlo, questo sistema, e renderlo degno di un paese che rispetta e tutela le garanzie costiuzionali.