Malala e le altre donne vittime della violenza islamica
17 Ottobre 2012
Tutto il mondo conosce la vicenda di Malala Yousafzai, attivista pakistana appena 14enne, ferita gravemente dai talebani in Pakistan per la sua battaglia a favore del diritto allo studio delle bambine. Malala, figlia del preside di una scuola femminile, gestisce da quando aveva ben 11 anni, un blog per conto della BBC allo scopo di illustrare le barbarie perpetrate dagli “studenti coranici” (questo è il significato di “talebani” in lingua pashtu) nella Valle dello Swat, dove lei vive. Il 9 ottobre scorso, sullo scuolabus che la stava riportando a casa da scuola, uno di loro ha sparato alla testa e al collo della ragazzina, riducendola in fin di vita. Colpite anche altre due studentesse, Shazia e Kainat.
Fortunatamente Malala non ha subito danni neurologici e, dopo una delicata operazione per estrarle il proiettile dalla testa, ha se non altro il 70% di possibilità di farcela. Grazie ad un aiuto economico a cui hanno contribuito gli Emirati Arabi Uniti, la piccola è stata trasportata in Gran Bretagna per ricevere un trattamento sanitario specializzato. E’ stato lo stesso presidente pakistano Ali Zardari ad ordinarlo. Inoltre ha telefonato al padre di Malala, garantendogli “pieno supporto” per colei che ha definito “come mia figlia” e ha anche ordinato cure mediche per le due amiche ferite con lei.
In diverse città del Paese hanno avuto luogo manifestazioni di solidarietà con “la Figlia della Nazione”, alle quali hanno partecipato soprattutto donne e studenti accompagnati dai loro insegnanti. “Io sono Malala”, scandivano i dimostranti, indossando cappellini con la medesima scritta. Chiedevano che i responsabili dell’attentato vengano presi e puniti.
Nelle scuole pakistane e del vicino Afghanistan, notoriamente ancora infestato di talebani, si è e pregato per la ragazzina.
Tuttavia “nemo profeta in patria”, soprattutto quando si tratta di diritti delle donne nei Paesi islamici.
Non solo il gruppo integralista ha minacciato ancora Malala, ma in Pakistan c’è chi grida al complotto addirittura di Obama o di fantomatici indù spacciatisi per talebani.
Altre donne pakistane continuano a subire abusi di ogni genere. Giusto per citare alcuni episodi avvenuti di recente: in Baluchistan 13 ragazze sono state cedute in matrimonio per risolvere una contesa, come avviene nelle società tribali. Un consiglio locale (jirga) ha preso l’infame decisione, poi demandata alla Corte Suprema del Pakistan.
Poi naturalmente non cessano le violenze sulle donne cristiane (anche i cristiani pakistani, ovviamente, hanno pregato per Malala). Anzi, l’Ong Asian Human Rights Commission (Ahrc )ha denunciato che queste sono “in allarmante aumento”, soprattutto nel Punjab. Innumerevoli donne, ma anche bambine cristiane (e di altre religioni), vengono violentate da musulmani per costringerle a sposarli e a convertirsi all’islam. E le autorità sono impotenti o complici degli integralisti islamici.