Mani Pulite, quel colpo di stato che resta solo fantapolitica (grazie al Cav.)
14 Febbraio 2010
Qualche settimana fa, mentre curiosavo tra le bancarelle dei libri usati, mi è capitato tra le mani un vecchio opuscoletto di Stampa Alternativa, della famosa serie dei "Millelire". Un racconto di fantapolitica di Matteo Montan (all’epoca redattore della Gazzetta di Parma e collaboratore del Corriere della Sera, adesso direttore di Buongiorno s.p.a. un’agenzia che produce servizi informativi e di intrattenimento per la Rete), intitolato "Golpe Di Pietro". Pubblicato all’inizio del 1994, il racconto immagina la presa del potere del pool dei magistrati di Milano, sull’onda delle inchieste di "Mani pulite".
La fantapolitica ha una non trascurabile tradizione nel nostro paese. Senza pretendere di tracciare una genealogia completa basterà fare due esempi particolarmente significativi. In occasione della campagna elettorale del 1948, quando era in ballo l’appartenenza dell’Italia al campo dei paesi liberi, Leo Longanesi ispirò un racconto epistolare diffuso in molte decine di migliaia di esemplari (D. Martucci, U. Ranieri, Non votò la famiglia De Paolis. Lettere scritte domani), dove si immaginava un diverso e catastrofico esito delle elezioni. Alcuni decenni dopo, negli anni settanta del secolo scorso, divenne un best-seller (oltre mezzo milione di copie vendute), il romanzo Berlinguer e il professore, pubblicato anonimo ma opera di uno dei più brillanti notisti politici del Corriere della Sera, Gianfranco Piazzesi. Nel libro si descriveva, tra il serio ed il faceto, l’andata in porto del compromesso storico. In sostanza il canovaccio narrativo serviva a Piazzesi come un pretesto per prendere in giro vizi e meschinerie dei palazzi romani.
Il libretto di Montan ha avuto meno fortuna di questi predecessori più noti. Pure, letto ad alcuni lustri dalla sua stesura non solo regge bene l’usura del tempo, ma risulta per molti versi illuminante. Anzitutto il racconto fotografa bene l’atmosfera di un preciso momento storico, che molti di noi hanno vissuto, ma che è scivolato man mano via dalla comune percezione. Intendo parlare di quel senso di liberazione, di sollievo quasi, che accompagnò l’estendersi a macchia d’olio delle inchieste giudiziarie relative al mondo politico. Una luna di miele tra magistratura e opinione pubblica (al di là degli schieramenti politici) durata solo pochi mesi. Il racconto è anzitutto il portato di quella stagione, nella quale non ci si chiedeva tanto come sarebbe andata a finire, ma si viveva la soddisfazione di veder cadere in disgrazia tanti uomini politici che non era mai stato possibile avvicendare con il voto.
Il racconto, però, non ha solo il merito di registrare un’atmosfera passeggera ma coglie con lucidità alcune caratteristiche di quel periodo. Il pool della procura milanese viene descritto per come si presentava ed era percepito: un corpo unitario capace di muoversi perseguendo un disegno comune. A sua volta poi (ed è questa forse la parte più interessante del racconto), i giudici della procura di Milano operano come il gruppo dirigente di un partito giudiziario, capace di coordinare l’azione dei magistrati di tutt’Italia nell’attacco finale al morente sistema politico.
La storia procede con ritmo incalzante, non senza colpi di scena. Scalfaro, all’epoca presidente della Repubblica, è presentato come una sorta di mediatore, che apre ai magistrati per varare un governo di salute pubblica in attesa di nuove elezioni. Qui il twist nella trama. Dopo qualche mese di operosità, il governo di salute pubblica presieduto da Francesco Saverio Borrelli (individuato con lucidità assieme a Di Pietro come un convinto assertore del ruolo politico della magistratura) ha ridato fiducia all’Italia. Nell’imminenza della consultazione elettorale, però, Scalfaro viene eliminato da una pallottola di non chiara provenienza (forse una vendetta dei colleghi politici disarcionati). A quel punto si spiana la strada ad una dittatura giudiziaria. Il racconto si chiude, infatti, con la trionfale elezione Di Pietro alla presidenza della repubblica. Per quanto non privo di toni caricati, il racconto presenta uno scenario abbastanza realistico. Coglie, cioè, una evoluzione degli eventi che all’epoca era nel novere delle cose possibili.
A tal proposito un’ultima considerazione s’impone. Il racconto è stato scritto nel 1993. Nel quadro della politica italiana descritto da Montan manca un elemento che negli anni a venire risulterà centrale. Non c’è la variabile Berlusconi; lo scenario costruito dal giornalista parmense non prevede la discesa in campo dell’imprenditore milanese. A partire da quel momento, sostanzialmente dalle elezioni del 1994, la politica italiana lascia le secche della deriva giudiziaria e intraprende la difficile transizione verso una democrazia dell’alternanza. Un cammino accidentato e difficoltoso, ma indubitabile. Forse, per rinfrescare la memoria di quella stagione oramai lontana e delle opzioni che allora erano sul tappeto, non sarebbe male rimettere in circolazione il testo di Montan.