Manuale di self-help per genitori paranoici

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Manuale di self-help per genitori paranoici

28 Giugno 2009

Lo scorso anno una distinta commentatrice del New York Times fece notizia su di sé perché dichiarò con naturalezza di far spostare il figlio di appena 9 anni da solo sulla metropolitana cittadina. La cosa che fece sobbalzare l’opinione pubblica non fu soltanto il riflesso immediato di terrore al pensiero di quanti e quali pericoli possa incontrare un ragazzino in giro sulle sue per Manhattan, quanto soprattutto il fatto che la madre potesse affermare che non ci vedeva niente di irragionevole, che per lei la maggior parte delle persone adulte non sono criminali malintenzionati, e che non si vede per quale motivo un bambino sveglio e senza difficoltà non debba poter girare in città senza accompagnatori, o non debba andarsene a scorrazzare in bici per i parchi. Ma di lì a guadagnarsi il titolo di “madre peggiore d’America”, il passo è stato breve.

Lenore Skenazy però giustamente non si è fermata qui, e ha sfruttato gli spunti mediatici e economici della vicenda per approfondire il tema della progressiva negazione di spazio d’azione ai ragazzi, scoprendo di non essere l’unico genitore frustrato dalla pervasiva etica del “non fare” che parrebbe dominare le famiglie contemporanee.  Ha raccolto le sue considerazioni nel libro Free-Range Kids: Giving Our Children the Freedom We Had Without Going Nuts With Worry (Bambini ruspanti: come dare ai nostri figli la libertà che avevamo noi senza impazzire per la preoccupazione). E  sarebbe probabilmente rinsaldata nelle sue impressioni, nel venire a sapere che anche nel nostro paese è una notazione eccezionale per un genitore poter dire che suo figlio già grandicello si reca agli appuntamenti sportivi del pomeriggio o a casa di amici da solo, senza che qualcuno, spesso una badante, debba scortarlo come un vip. A sentire la Skenazy, in ogni caso, l’interesse che il suo libro ha destato in America e in tanti altri posti conferma che il dibattito è vivo, che ci si sta rendendo conto che la società ha progressivamente acquisito e sviluppato qualcosa di preoccupante per i bambini e per i genitori, ma senza aver capito bene come e perché sia accaduto. La si potrebbe aiutare suggerendole di indagare nella fobia del pedofilo che percorre l’Occidente, ma diamolo come un dato fin troppo scontato anche per lei.

Come molti di questi saggi, il libro si struttura e si propone come un manuale di self-help, e per un lettore non anglosassone tanta pignoleria organizzata nel dare consigli di puro buon senso e giusta misura delle cose può risultare abbastanza superfluo. Però non si può non dare ragione all’autrice, quando contesta diversi messaggi di esperti d’infanzia a vario titolo, il cui risultato, spesso con il supporto di dati su pericoli e insidie non verificati o gonfiati, è quello di generare ansie e timori in genitori contemporanei già in partenza spaesati e senza punti di riferimento di tipo familiare. Ma comunque attratti dalla schiera sempre più nutrita di conoscitori dell’infanzia e dell’adolescenza, pronti a dare indicazioni sui metodi educativi a loro parere migliori (con la finalità sempre sottintesa di coltivare il figlio “più” in tutto che si possa immaginare).

La Skenazy non è comunque sola. Contemporaneamente al suo libro, è stato pubblicato da poco anche in Italia Genitori Slow di Carl Honorè, manifesto di un padre stressato dall’ossessione del genitore modello e quindi pronto per contrattaccare, attraverso la teoria del “salvataggio dei bambini dalla cultura della Iper Genitorialità”; in molti su blog e testate negli Stati Uniti invocano sempre più spesso un ritorno alla naturalezza nell’educazione dei figli, di cui rispettare tempi e dovute dosi di ozio. Dopo che per anni senza l’ascolto di Mozart durante la gravidanza o l’inizio dello studio del cinese durante la prima infanzia, si è pensato che i propri figli non sarebbero stati all’altezza degli altri bambini super stimolati a tempo pieno.

Senza arrivare a forzature pericolose – e, in un semplice desiderio di riconoscere all’infanzia la giusta dose di autonomia che la aiuta a scoprire il mondo, a fare errori e a crescere, esporre i ragazzini ai pericoli evidenti di un mondo che è evidentemente molto cambiato – è pur vero che una riflessione come questa sulle paranoie ingiustificate di tutta una generazione di genitori iperprotettivi, plasmatori di “figli perfetti”, attenti studiosi di ogni aspetto che riguardi i pargoli (dalla tossicità dei pigiami con ftalati alla fissazione per il cibo cosiddetto naturale) è benvenuta. Perché alle giustificate paure per i propri figli in un mondo pieno di complessità, sembra si sia sposata una naturale tendenza del genitore tipo di questi tempi a controllare e tenere con sé il più possibile i propri figli (spesso, come sappiamo, il proprio unico curatissimo figlio). Oltre che a imporsi sedute domestiche di auto-terapia calmante come lotta alle paure per i pargoli (metodo Skenazy), varrebbe la pena riflettere su quanto si è davvero disposti a lasciare a tranquilli i nostri piccoli, senza voler dare loro indirizzi a tutti i costi – a pensarci bene fin da quando sono in utero. In era di intensive parenting e paranoid parenting, come gli americani da tempo hanno finito per inquadrare il fenomeno, uno dei quesiti principali riguarda gli egoismi della genitorialità.