Manuale di sopravvivenza al tempo del gender / Quinto capitolo
16 Agosto 2015
“Come fermare tutto questo? Cosa possiamo fare?” è la domanda che, alla fine di ogni incontro su questi temi mi sento rivolgere. Innanzitutto con realismo e un minimo di consapevolezza politica, per non farsi prendere in giro. E mi spiego.
Riguardo alla “teoria gender” nelle scuole, va chiarita una questione essenziale: NON la si può fermare con una legge ad hoc, che magari dica esplicitamente “stop al gender”; così come queste ideologie non entrano con una legge ad hoc che dica esplicitamente “il gender entra nei programmi scolastici”. Questo a scanso di equivoci, e soprattutto di illusioni e di obiettivi sbagliati. In questo ambito più che in altri, sbagliare gli obiettivi da perseguire, le richieste da fare ai politici, porta alla sconfitta.
Ci spieghiamo meglio con qualche esempio. I famosi libretti UNAR non sono entrati grazie a una legge, ma a un accordo fra paesi europei, sancito dal governo Monti (ministro Fornero) a seguito di una raccomandazione dei ministri del Consiglio d’Europa, raccomandazione che tra l’altro non era nemmeno vincolante. Allo stesso modo sarebbero potuti entrare nell’ambito di un progetto europeo a contrasto della violenza, o anche attraverso progetti regionali, comunali, di reti di scuole, di città, di organizzazioni non governative, a celebrazione di giornate nazionali stabilite per legge (per esempio quella mondiale contro l’omofobia), per attuare risoluzioni del Parlamento europeo (ce ne sono parecchie su queste tematiche), risoluzioni ONU, indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, adozione di pareri dell’UNESCO, e potremmo continuare per un bel pezzo.
E’ sufficiente che uno di questi mille canali adotti la generica espressione “contro ogni discriminazione”, oppure “accoglienza al diverso” e automaticamente sesso, genere e orientamento sessuale potrebbero essere compresi nella realizzazione dei progetti – non è detto che lo siano – se c’è una volontà in questo senso del soggetto attuatore.
Questo tipo di argomenti entra perché sono il tema del momento, perché si tratta di fenomeni che stanno avvenendo adesso in tutto il mondo occidentale secolarizzato (per non dire post-cristiano), perché c’è una rivoluzione biotecnologica e antropologica in corso che sta arrivando anche da noi, e adesso ce ne stiamo accorgendo pure in Italia.
La legge 40 sulla procreazione assistita è stata un argine essenziale a tutto questo perché era costruita solo sulla fecondazione omologa, cioè all’interno di una coppia uomo-donna, e quindi non portava nuovi paradigmi con sé, ma restava nell’alveo della filiazione naturale. Il perno della legge era costituito proprio dal divieto di eterologa: in questo modo si spostava in laboratorio il concepimento – e in questo la legge non era certo ispirata alla dottrina cattolica, ma ripeto che stiamo parlando non di valori cristiani ma di mutamenti antropologici – ma si lasciava la regolazione della filiazione inalterata, come quando avviene con il concepimento naturale. Con la 40 può accedere alla procreazione assistita una coppia uomo-donna, sposata o convivente, entrambi viventi, in età potenzialmente fertile, e l’accesso era previsto solo per coppie sterili o infertili, coppie che non possono avere un bambino. La fecondazione assistita con la legge 40 non era pensata come una libera scelta fra concepimento naturale e assistito, ma come un percorso che deve rispondere a criteri di appropriatezza medica. Una legge laicissima e ragionevole che è stata fin dall’inizio criminalizzata, non dai cittadini (che, se avessero voluto abolirla, avrebbero potuto farlo con il voto referendario) ma dalle potenti lobby che avevano interessi economici nel settore.
L’ingresso della fecondazione eterologa nel nostro paese ha spalancato le porte alla rivoluzione antropologica, perché introduce nuovi paradigmi che sono destinati a trasformare le relazioni fondanti della comunità umana. In primo luogo le relazioni genitoriali: il figlio è di chi lo desidera e non di chi lo genera, e quindi è indipendente dalla differenza sessuale, creando nuove forme di genitorialità “gender neutral”. Non solo: chi finora si è opposto alla legge 40 e ha lavorato per abbatterla a colpi di sentenze – vedi i radicali– ha già dichiarato che i prossimi passi saranno quelli di ottenere l’accesso alla procreazione assistita per single e coppie omosessuali. E’ la logica conseguenza del cambio di paradigma di cui dicevamo: se i figli sono di chi li desidera, è ovvio che anche singole persone o coppie dello stesso sesso, se lo desiderano, debbano avere l’accesso ai percorsi che consentono di avere un figlio, che diventa un “diritto ”, come ha stabilito del resto la nostra Corte costituzionale proprio con la sentenza sulla fecondazione eterologa.
Ed è logico che questa nuova opportunità (l’eterologa per le coppie gay) è connessa strettamente all’eventuale approvazione di una legge come quella Cirinnà, che introduce unioni civili in forma simil matrimoniale. L’eterologa è il presupposto del matrimonio omosessuale, che rimarrebbe un percorso incompiuto senza la possibilità di filiazione: negli altri paesi tutto questo è arrivato prima che da noi perché non hanno avuto la legge 40 che bloccava il percorso.
Trattare tutto questo da valore morale, o da valore cristiano, è, onestamente, miope e riduttivo.
Ma non solo. L’epilogo della vicenda del libro della Mazzucco, “Sei come sei” insegna un’altra cosa. Anche in quel caso la lettura del libro non è dipesa da una legge, ma da un clima culturale, e dal fatto che a scuola c’è la libertà di insegnamento. Melania Mazzucco è vincitrice, fra l’altro, del prestigioso Premio Strega: come si può impedire che un’insegnante di italiano faccia leggere l’opera più recente di un’autrice contemporanea che ha avuto importanti riconoscimenti pubblici? Il ricorso infatti è stato perso, e questo fatto costituisce un precedente pesante, e la dimostrazione che non potremo mai con una legge bloccare una lettura che rientra nella libertà di scelta dell’insegnante, libertà che può essere limitata solo da leggi non democratiche, tipiche dei regimi totalitari. Non potremo mai stabilire dal di fuori della scuola letture curricolari, o porre dei veti. La libertà di insegnamento – sacrosanta – si può equilibrare solo con la libertà di educazione da parte della famiglia – altrettanto sacrosanta.
Altro esempio. A una scuola elementare di cui conosco il direttore, la regione ha regalato una cinquantina di libri per la biblioteca della scuola. Fra questi, almeno tre presentavano famiglie con “due papà” o “due mamme”. Quale legge potrebbe impedire che questo accada? Anche chi, da presidente di regione, ci ha provato, ha dovuto calibrare l’intervento limitandolo alla verifica dell’appropriatezza dei libri in relazione all’età dello studente.
Per non parlare dei libri di testo. Quando andavo a scuola il libro di storia più diffuso era il Camera Fabietti, che aveva stile e contenuti sovietici, letteralmente. Ricordo che sulle violenze seguite alla rivoluzione bolscevica commentava qualcosa tipo: le rivoluzioni non si fanno con i guanti di velluto. Non c’era nessuna legge che imponesse il Camera Fabietti, semplicemente in quel momento quello era l’orientamento ideologico dominante, e quelli quindi erano i libri più usati. I libri di testo non sono mai neutri, rispecchiano sempre l’orientamento culturale di chi li scrive, che in base ai propri convincimenti interpreta opere letterarie, fatti e avvenimenti. (FINE DELLA QUINTA PUNTATA, CONTINUA…)
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