Mao vince in Nepal ma preoccupa la Cina

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Mao vince in Nepal ma preoccupa la Cina

Mao vince in Nepal ma preoccupa la Cina

24 Aprile 2008

E’ ufficiale: il Partito comunista-maoista (Cpn-m) ha
vinto le elezioni in Nepal per la nomina dei 601 membri dell’Assemblea
Costituente che avrà il compito di redigere la nuova carta costituzionale.

I
maoisti hanno ribaltato i pronostici della vigilia, superando nelle preferenze
di voto il Partito del congresso nepalese (Np), il Partito marxista-leninista
unificato (Uml) e la formazione espressione dell’etnia madhesi (Mjf). Dentro e
fuori il Nepal cominciano a serpeggiare voci sulla possibile evoluzione del
Paese in una ‘repubblica maoista’. Un approdo a dire il vero improbabile, dato
che il Cpn-m difficilmente riuscirà ad assicurarsi la maggioranza assoluta dei
seggi dell’Assemblea Costituente e per governare sarà costretto ad allearsi con
altre forze.

Consapevole del quadro politico scaturito dalle votazioni, il leader maoista Prachanda (‘il
terribile’, al secolo Pushpa Kamal Dahal) ha mostrato una certa cautela. Ha
ribadito che l’obiettivo primario del suo partito è quello di portare prosperità alle
masse, ma ha voluto anche sottolineare che ciò sarà fatto rispettando i dettami
del libero mercato: “Il comunismo rimane il traguardo ultimo, ma riguarderà
semmai il futuro”. L’unico vero punto su cui i maoisti non transigono è
l’abolizione della monarchia indù.

I
risultati della tornata elettorale del 10 aprile decreteranno probabilmente la
fine dell’istituto monarchico, da 239 anni il fulcro politico (oltre che
religioso ed economico) di un Paese poverissimo, uscito nel 2006 da un
decennale conflitto civile tra gli stessi maoisti e il governo di Sua Maestà
(costato circa 13 mila vittime). Le ostilità sono cessate grazie a un accordo tra
il Cpn-m e altri sette partiti dell’arco costituzionale nepalese. Queste forze
si sono unite per dare avvio al processo costituente attualmente in corso,
ponendo fine al governo personale del Re Gyanendra, che nel 2005 aveva sciolto
il Parlamento, licenziato il primo ministro in carica e sospeso la Costituzione emanata
nel 1990.

Prachanda
è impegnato in consultazioni per formare un governo di coalizione allargato a
tutte le altre forze politiche nazionali. Una linea dettata dalla necessità di
stabilire un contatto con la comunità economica locale (una elite di potere
indù, legata a doppio filo con la
Corona), e di tranquillizzare la comunità internazionale. Washington,
Delhi e Pechino erano convinte che le aspirazioni dei maoisti avrebbero subito
un drastico ridimensionamento dal voto: 50-60 seggi, che avrebbero messo gli ex
ribelli nella condizione di non influenzare i lavori dell’Assemblea,
scongiurando allo stesso tempo il pericolo di un loro ritorno alla lotta armata.

Gli
Stati Uniti considerano ancora oggi il Cpn-m come una organizzazione
terroristica, che non ha abbandonato del tutto l’uso della violenza come
strumento di affermazione politica. Le missioni di monitoraggio elettorale
hanno confermato in parte la posizione statunitense. Se da un lato gli
osservatori ai seggi hanno infatti parlato di un voto sostanzialmente regolare,
dall’altro hanno attribuito ai militanti maoisti la responsabilità di una serie
di violenze e intimidazioni elettorali.

Washington
ha in ogni modo già chiarito che collaborerà con il governo a guida maoista,
come ha fatto con quello ad interim presieduto nell’ultimo biennio da Girija
Prasad Koirala (leader del Partito del congresso nepalese) e del quale anche il
Cpn-m ha fatto parte. Nancy J. Powell, l’ambasciatore Usa a Kathmandu, ha
dichiarato nella giornata di lunedì che gli Stati Uniti cancelleranno a breve i
maoisti dalla loro black list e forniranno aiuti e assistenza a qualsiasi
governo democraticamente eletto in Nepal.

Più
complicato sarà il rapporto che il futuro governo nepalese a guida maoista
instaurerà con l’India. Prachanda vorrebbe rinegoziare un accordo del 1950, che
attribuisce a Delhi una posizione dominante negli affari di Kathmandu. Il
governo indiano – per bocca di M. K. Narayanan, consigliere per la sicurezza nazionale
– non ha certo nascosto il proprio disappunto per l’esito elettorale in Nepal.
A Delhi si aspettavano la vittoria della compagine di Koirala, ma hanno anche
precisato che obiettivo primario per l’India è la conservazione della stabilità
nell’area, e che il Paese collaborerà con chiunque si impegnerà in tal senso.
E’ da ricordare, inoltre, che l’accordo tra i maoisti e gli altri sette partiti
dell’attuale governo ad interim è stato siglato a Delhi, sotto gli auspici
indiani.

Secondo
alcuni osservatori, a beneficiare del potenziale attrito tra il governo maoista
e quello indiano sarà la Cina,
che potrà così estendere la propria influenza anche su Kathmandu. Il Nepal è
uno Stato cuscinetto, posto al centro dell’arco himalayano, una regione dove i
due colossi asiatici avanzano diverse rivendicazioni territoriali. Nell’ultimo
mese, il governo ad interim nepalese ha sostenuto la politica cinese nel
confinante Tibet, reprimendo le manifestazioni dei rifugiati tibetani,
promettendo l’uso della forza nel caso in cui scoppiassero incidenti durante il
passaggio della torcia olimpica sull’Everest e permettendo ad agenti di
sicurezza cinesi di sconfinare liberamente sul proprio territorio per
controllare i manifestanti pro-Tibet.

Coltivare
l’amicizia con la Cina
è un imperativo geopolitico per qualsiasi nuovo governo nepalese, non solo per
i maoisti. A dire il vero, è Pechino a nutrire dubbi su Prachanda e i suoi uomini, particolarmente sensibili al tema delle autonomie regionali e del diritto
all’autodeterminazione. Il Cpn-m auspica una divisone federale del Nepal su
basi etniche, accompagnata dal riconoscimento di una larga autonomia regionale.
Un progetto che si renderà necessario per evitare frizioni con l’inquieta etnia
madhesi, che vive nelle pianure meridionali del Terai. A preoccupare Pechino è
al contrario l’attrazione che potrebbe esercitare sui ‘separatisti’ tibetani un
simile modello di sovranità federale.

La
vittoria dei maoisti nepalesi, che oltre al marxismo agrario di Mao Zedong, si
ispirano al movimento guerrigliero peruviano di Sendero Luminoso, rappresenta
un caso quasi in controtendenza con il corso attuale della storia,
caratterizzato da un netto arretramento delle esperienze politiche legate
all’ideologia marxista.

La Cina culla del maoismo è ormai più
‘mercatista’ di chi il mercato lo ha eletto da secoli alla base del proprio
sistema socio-economico (e lo stesso dicasi per il Vietnam). Con l’avvento di
Raul Castro, Cuba si appresta a superare il ‘fidelismo’ per sviluppare una
economia socialista di mercato sul modello cinese. Più che a una repubblica
comunista, la Corea
del Nord assomiglia a un ‘garrison state’, a uno ‘Stato guarnigione’. L’onda
progressista centro e sudamericana – ingigantita domenica scorsa dall’elezione
di Fernando Lugo alla presidenza del Paraguay – ha i contorni di un fenomeno di
massa trasversale ed è debitrice di diverse culture, non solo di quella
socialista.

Il
sub-continente indiano ha acquisito però una sua specificità in materia,
divenendo una sorta di laboratorio delle moderne rivolte popolari di stampo
maoista: un caso che non riguarda solo il Nepal. L’India, ad esempio, è
dilaniata dalla trentennale rivolta dei ‘naxaliti’, guerriglieri maoisti che
imperversano in sette Stati dell’Unione. Un maoismo ‘crepuscolare’,
caratterizzato non tanto ideologicamente, ma da una spinta all’emancipazione
politica, economica e sociale degli emarginati (contadini, dalit, donne, ecc.),
che neanche i tassi di sviluppo a due cifre riescono ancora ad assicurare.