Marchionne: “Non chiuderemo in Italia”. Negli Usa sindacati “un vantaggio”
09 Giugno 2013
di redazione
"Ho detto al ministro Zanonanto che non chiuderemo le fabbriche in Italia". Se negli Stati Uniti Sergio Marchionne punta alla fusione Fiat-Chrysler a ad uno sbarco a Wall Street mentre in Italia deve promettere che non chiuderà gli stabilimenti del gruppo torinese un motivo c’è. E il manager accusato spesso di voler abbandonare il nostro Paese una risposta ce l’ha: in America c’è "il grande vantaggio di avere a che fare con un sindacato e che questo ha una fiducia enorme in quello che fa il management", in Italia "non vedo i sindacati da molto tempo, con la maggior parte ho rapporti buoni". Da una parte un grande vantaggio, dall’altra una frase di prammatica che non nasconde anche se attutisce diplomaticamente dissensi e posizioni contrastanti. Negli Usa, Veba, il potente fondo pensioni e sanitario del sindacato automobilistico che controlla il 41% di Crysler, sembra d’accorso a lanciare la nuova Chrysler in borsa. In Italia, bisogna pensare alla cassa integrazione, autorizzandola finché non partiranno nuovi investimenti. Forse è questo l’unico punto dolente e un po’ contradditorio nel discorso di Marchionne: negli Usa Fiat ha sfruttato lo stimulus obamiano, in Italia chiede la cassa integrazione, in tutti e due i casi si sollecita lo Stato e i governi a contribuire ai progetti aziendali; aiuti di Stato, dunque, tutto sommato necessari visto il peso di Fiat-Chrysler negli Usa e quello di Fiat Italia. Se il ministro per lo sviluppo economico Zanonato presterà ascolto alla richiesta sulla cassa integrazione fatta da Marchionne, l’importante è che poi il manager mantega la promessa di non chiudere gli stabilimenti nel nostro Paese. E di ripensare una strategia di investimento proprio in quella Europa dove, secondo Marchionne, il comparto dell’auto non tira più come dovrebbe. "L’Europa ripartirà fra 3-4 anni. Il rimbalzo si vedrà prima, ma al momento non abbiamo ancora toccato il fondo", conclude Marchionne.