Marea nera, i verdi avrebbero dovuto dire sì alle perforazioni in Alaska

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Marea nera, i verdi avrebbero dovuto dire sì alle perforazioni in Alaska

31 Maggio 2010

La cupola e “il siringone” hanno fallito. L’operazione Top Kill è stata un fiasco. La marea nera continua ad allargarsi nel Golfo del Messico e adesso British Petroleum annuncia una nuova manovra per bloccare la fuoriuscita del greggio: Lower Marine Riser Package, una sorta di “cappuccio” o di valvola dalle dimensioni più ridotte di quella che l’aprile scorso non ha funzionato, collegata alla nave madre in superficie, e che dovrebbe catturare il grosso del greggio. “E’ un approccio non privo di rischi,” ha commentato il Presidente Obama, ricordando che per il nuovo tentativo serviranno altri giorni preziosi e che in ogni caso la Casa Bianca era cosciente del fatto che i sistemi precedenti erano a rischio fallimento.

Così, di fronte all’impotenza dei diversi attori in campo, cresce la protesta e il malcontento fra gli americani. Sabato durante una manifestazione a Manhattan 200 ambientalisti si sono imbrattati di petrolio (un mix di vernice e cioccolata) davanti alle pompe di benzina. Il clintoniano James Carville, che guida la protesta in Louisiana, ha dichiarato che “Obama sembra più arrabbiato con chi lo critica che con British Petroleum” mentre le autorità dello Stato hanno attaccato violentemente la dirigenza di BP accusata di organizzare “soccorsi da palcoscenico” in occasione della visita del Presidente senza però risolvere la questione. Intanto, il Dipartimento di giustizia medita se procedere con una azione penale contro il gigante del petrolio, per sanzionare i suoi comportamenti prima e dopo il disastro. Se l’indagine dovesse essere formalmente aperta, l’Amministrazione è pronta a chiedere 10 milioni di dollari al Congresso per finanziarla.

Come ha scritto Charles Krauthammer, la tragedia ecologica ha molti padri. Il più ovvio è naturalmente la multinazionale petrolifera che ha dimostrato di non avere dei piani precisi per far fronte ad emergenze come quella del Golfo del Messico – anche se, per quanto i burocrati di Washington possano strillare – BP resta l’unica ad avere le tecnologie e l’esperienza necessari per continuare a provarci. Non perché sia diventata di colpo virtuosa ma per un fatto di interesse economico: ogni giorno che il greggio continua a fuoriuscire, milioni di barili vanno in fumo. Per Obama, invece, la marea nera rischia di essere una batosta politica come fu l’uragano Katrina per Bush. Se BP riuscirà ad evitare una calamità ancora maggiore di quella che si è già realizzata nel Golfo, forse il Presidente potrebbe salvarsi da un giudizio negativo; ma se la perdita dovesse continuare e la situazione peggiorare – la deadline, secondo alcuni, è al massimo il mese di agosto – Obama si troverà a dover fare i conti con la sua Katrina. Il fatto è che né lui né Bush erano e sono responsabili di quanto è avvenuto ma il sistema ormai funziona così, tutte le colpe vanno addossate al capo, visto che il culto della personalità ormai domina la politica americana. “Ci aspettiamo presidenti che siano come Superman”, scrive Krauthammer, e l’ambizione e la mancanza di modestia di Obama non sono certo d’aiuto.

Ma c’è un terzo colpevole che se ne sta al riparo delle polemiche e preferisce cavalcarle senza pagare il conto con l’opinione pubblica, come invece sta accadendo per BP e la Casa Bianca. Parliamo degli ambientalisti. Lo sfruttamento petrolifero nel Golfo del Messico ha spinto i grandi player che operano nella zona a perforazioni sempre più profonde dai mille ai cinquemila piedi, e oltre, esponendosi a rischi come quello provocato dall’incidente dei mesi scorsi. E perché le multinazionali si ostinano a lavorare nel Golfo del Messico, in uno dei luoghi più ricchi di turismo, pesca e attività economiche e ricreative degli Stati Uniti? Semplice, qualsiasi altro tentativo di allargare le perforazioni ad altri quadranti, come quello Atlantico, oppure verso il disabitato Alaska, sono state fortemente contestate dai movimenti e dalle lobby dell’ambiente, che hanno reso quelle coste off-limits per l’estrazione di petrolio. Lo stesso Obama aveva provato a fare una selezione di siti alternativi da poter aprire allo sfruttamento del greggio ma il tentativo almeno per adesso sembra abortito. Con questo non vogliamo certo dire che il disastro della “marea nera” è colpa degli ambientalisti ma evidenziare che non sia stata fatta neppure una menzione della loro battaglia per limitare le perforazioni nelle zone più disabitate del Paese, che ha spinto BP a scendere sempre più in profondità nel Golfo del Messico.