Mario Monti non deve affrontare una crisi del debito bensì una stagnazione
15 Novembre 2011
Da commissario europeo alla competizione, circa dieci anni fa, mise in fuga la Germania sui sussidi per le Landesbanken e costrinse la Francia a rompere i suoi monopoli nel settore dell’elettricità.
Lasciò di stucco molti a Washington quando impose una multa di 498 milioni di dollari per abuso di posizione dominante a Microsoft e bloccò la fusione da 45 miliardi di dollari tra GE – Honeywell, la più grande al mondo per l’epoca, dopo che era stata già approvata dal Dipartimento della Giustizia statunitense, a dire che gli americani non c’avevano capito niente.
Fu Super Mario che fece diventare l’UE un super regolatore globale.
L’ultima volta che parlammo, al Lago di Como due anni fa, temeva che l’UE stesse entrando in una crisi “quasi esistenziale”.
Rileggendole oggi si tratta di parole profetiche, benché allora egli non avesse alcuna idea di quale ruolo avrebbe giocato per salvare il suo paese, l’euro e il sistema bancario mondiale.
La mano del Sig. Monti non è debole come sembra. Lo Stato italiano è un albero di Natale di beni di valore: c’è il 4 per cento della compagnia energetica Eni, il 31 per cento della compagnia elettrica Enel, il 33 per cento della gruppo aerospaziale Finmeccanica, il 100 per cento di Poste Italiane.
La vendita di compagnie del genere potrebbe facilmente generare 45 miliardi di euro e il sig. Monti è già un convinto privatizzatore. Fino a quale punto possa convincere il centro-sinistra in Parlamento a votare tali dismissioni rimane una domanda aperta.
I beni disponibili allo Stato italiano ammontano a 1,8 trilioni di euro, praticamente lo stesso ammontare dell’odierno debito pubblico italiano di 1,9 trilioni di euro. C’è vasta ricchezza privata, secondo alcune stime di circa 8,6 trilioni di euro, facendo degli italiani persone privatamente più ricche di tedeschi e americani.
L’obiettivo del sig. Monti è di portare avanti un ‘salvataggio interno’, estraendo un pezzettino di questa ricchezza per salvare lo Stato.
Una variante di ciò fu tentata già nel 1992, quando sui conti bancari fu effettuato un prelievo coatto. Il sig. Monti si darà meno a certi capricci. E’ noto per essere un accanito proceduralista. Le opzioni a sua disposizione annoverano una tassa sulle proprietà immobiliari e una patrimoniale che porti all’erario 100 miliardi di dollari.
Diversamente dalla Grecia, lo Stato italiano ha un avanzo primario. Sarà del 0,5 per cento del Pil quest’anno e del 4 per cento nel 2013 se il bilancio dello Stato sarà nel frattempo messo in equilibrio. Il migliore del blocco dei G7.
Gli indicatori sulla sostenibilità del debito del Fondo monetario internazionale piazzano l’Italia sulla lista dei bravi a 4.1, davanti a Germania al 4.6, Francia 7.9, il Regno Unito 13.3., il Giappone al 14.3, e gli Stati Uniti con 17.
Il debito pubblico italiano del 120 per cento del Pil è in un certo modo compensato da un debito privato molto basso del 42 per cento. Il totale del debito aggregato è 129 per cento, a fronte di una media europea del 169 per cento.
Ray Badiani di HIS Global Insight dice che l’Italia può, in teoria, tenere vari quarti di anno con rendimenti sui propri titoli di debito pubblico sopra il 7 per cento. Quel che altera la situazione è il pericoloso mix che si mette in moto di fronte a una crescita incerta. Ciò rischia di spingere la dinamica del debito italiano in un vortice al ribasso, a fronte di necessità di rifinanziamento per il 2012 per 300 miliardi di euro.
Quel che il sig. Monti ha innanzi è una crisi di stagnazione, non una crisi del debito.
La crescita dell’Italia è stata di solo lo 0,6 per cento annuo lungo la scorsa decade, e la produttività è caduta. L’Italia ha perso il 40 per cento della propria competitività rispetto alla Germania negli ultimi 15 anni, incastrata in un sistema monetario, quello dell’euro, con una moneta sopravvalutata.
Danay Gabay di Fathom Consulting ha dichiarato che l’Italia sarà addirittura meno in grado di competere di quanto non sarà la Grecia: “ Prenderemo le distanze dal mantra che fa il giro dei mercati, ovvero che i fondamentali dell’Italia sono di fatto buoni e che il paese ha di fronte a sé solo una crisi di liquidità di breve periodo”.
Il sig. Monti dovrà in effetti portare avanti una ‘svalutazione interna’ dentro l’Emu (l’unione monetaria europea) per recuperare il terreno perduto, comprimendo i salari e i costi sotto i liveli tedeschi per anni a venire.
L’Irlanda ha mostrato che ciò è possibile, ma l’economia irlandese è flessibile e il suo export in questo momento tira molto. Ha un surplus nel proprio bilancio. L’Italia non ha fatto altro che perdere pezzi di export visto che la Cina gli aggredisce il suo mercato manifatturiero.
Il professore dovrà mettere in campo questo gioco di prestigio nel peggiore dei momenti, proprio mentre la contrazione fiscale e la recessione nell’eurozona sta trascinando di nuovo l’economia nel baratro.
Non ha base politica, e la sua popolarità a Sinistra è probabile che duri poco se applicherà il macete sulle leggi del lavoro dell’Italia come richiesto da Bruxelles e i vigilantes del debito.
Quanto alla gioia risuonante a Roma la notte che Berlusconi ha dato le dimissionie, l’Italia è tanto polarizzata quanto lo fu la Gran Bretagna quando Margaret Thatcher prese in mano nel 1979 l’esangue politica economica britannica. I sindacati sono in quello stato di militanza.
Il sig. Monti avrà bisogno di tutto il suo charme – se non di un miracolo – per far sì che la nave Italia tenga l’urto della tempesta che l’attende.
Tratto dal quotidiano britannico The Telegraph