Marò. Italia-India, non è mica da una partita che si giudica un giocatore

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Marò. Italia-India, non è mica da una partita che si giudica un giocatore

24 Marzo 2013

Se ci mettiamo il cuore in pace sul fallimento del Ministro Terzi (i nostri generali parlano di "farsa"), la domanda da farsi in realtà è se quella dell’India sia stata una vittoria diplomatica. A sentire gli esponenti politici di Delhi parrebbe proprio di sì. Ma da qui a evocare la superpotenza indiana ce ne passa, almeno per ora.

L’Italia, descritta per giorni come una specie di stato-canaglia che tradiva i patti adesso è scesa a più miti consigli. "Sono felice che la dignità e la integrità del processo giudiziario indiano sia stata preservata", ha detto il premier Singh, che aveva minacciato "conseguenze" se i Marò non fossero tornati. Molto ha fatto anche l’intervento diretto nella vicenda di Sonia Ghandi.

C’è chi si spinge oltre, come l’ex ambasciatore indiano in Danimarca, convinto che aver "costretto" il governo italiano a riportare in India i Marò sia la prova che la politica estera dell’India non è più seconda a nessuno. Anche i media indiani che tanti fiumi di inchiostro avevano consumato sulla debolezza indiana di fronte alle potenze del vecchio mondo devono fare autocritica, secondo il ministro.

Sicuramente il "pianeta India" nei prossimi decenni diventerà uno dei polmoni della classe media globale, come dimostrano i tassi crescita dei BRIC, gli emergenti tra i quali l’India vanterebbe una speciale patente democratica. Peccato che quando la Farnesina ha forzato la mano la risposta è stata il fermo del nostro ambasciatore e la minaccia di revocargli l’immunità. Di solito, le vittorie diplomatiche non si ottengono esattamente in questo modo.

In realtà, l’India non è ancora una superpotenza. Sotto molti aspetti è un Paese ancora sottosviluppato, quasi metà dei bambini sotto i tre anni sono malnutriti e non va molto meglio per quelli sotto i cinque. Da questo punto di vista, può essere paragonata all’Africa sub-sahariana.

Almeno metà della popolazione vive ancora nelle campagne e lavora in agricoltura, inflazione e disoccupazione sono i più alti tra i BRIC. La perenne fame energetica espone milioni di indiani al rischio di black out. Le liberalizzazioni dei ruggenti anni Novanta sono un ricordo e l’incrostarsi delle superburocrazie, costose e potenti, potrebbe danneggiare gli investimenti stranieri.

La stessa democrazia indiana appare "fratturata" da spinte religiose, sociali, nazionalistiche che qualche dubbio sul sol dell’avvenire lo mettono. Certo, è una potenza chiave, è un grande stato con un arsenale nucleare, ma nel futuro prossimo corre comunque il rischio di restare un  "key swing state", come dicono gli analisti, senza spiccare il salto.

Ad oggi, l’Italia ha una popolazione infinitesimale rispetto al colosso indiano, 61 milioni contro 1 miliardo e rotti. Ma da noi l’aspettativa di vita è 80 anni, in India 67. Il prodotto interno lordo procapite italiano dieci volte quello indiano. E nonostante il nostro Paese stia vivendo una delle crisi più serie dal secondo dopoguerra, abbiamo l’8 per cento di disoccupazione contro quasi il dieci indiano. A proposito, l’Italia ha abolito anche la pena di morte.