Marò, l’ostinazione dell’Italia è piaciuta anche in India
13 Marzo 2013
di Ronin
Il premier Manmohan Singh promette "conseguenze per l’Italia" dopo la decisione del nostro governo di non far rientrare in India i Marò, Latorre e Girone, accusati di aver ucciso per errore una coppia di pescatori al largo del Kerala più di un anno fa. Il nostro ambasciatore a Dehli rischia l’espulsione e il Corsera pubblica le foto dei pescatori indiani che bruciano fantocci con il volto dei nostri militari.
Se tutto questo era prevedibile, va anche fatta una considerazione più interna all’India sui riflessi della vicenda "Erica Lexie". Il colosso statuale indiano è fatto di diversi Stati che se hanno grande autonomia e potere da un punto di vista della politica interna si trovano di rado ad affrontare questioni di politica estera. Così, al di là della crisi aperta con l’Italia, il New York Times sottolina che la vicenda della Lexie è stato un test, superato, nei rapporti tra la politica estera dello Stato del Kerala e quella del governo centrale, con il primo che esce rafforzato dall’esperienza.
Quando il Governo italiano decise di seguire la linea della controversia sulle acque internazionali, ammettendo l’errore fatale dei Marò ma difendendo l’operato delle forze che combattono la pirateria, i giudici del Kerala intervennero affermando la giurisdizione sul caso, muovendosi quindi in autonomia rispetto ad eventuali accordi di vertice fra Roma e Delhi. I nostri Marò furono prima imprigionati e poi condotti in una località più confortevole, dove hanno più volte incontrato esponenti dei due governi e alti ufficiali del mondo militare italiano.
Nonostante questo, la corte del Kerala per un anno ha tenuto sotto pressione la Farnesina, fino a quando Roma ha chiesto alla Suprema Corte indiana di impedire l’istruzione del processo ai Marò in India perché l’incidente era avvenuto in acque internazionali. Anche il primo ministro del Kerala, Chandy, impelagato in una difficile campagna elettorale contro i comunisti, ha saputo giocare per bene una partita a scacchi che da un lato ha lasciato aperto un canale di dialogo con le autorità italiane, dall’altra ha fatto fronte al nazionalismo locale che voleva piegare la vicenda della Lexie a fini di consenso interno. Va detto per inciso che quando i nostri Marò tornarono a casa per Natale, con un deposito di sicurezza di 60 milioni di rupie (più di un milione di dollari), deve esserci stato più di un abitante del Kerala che ha sperato che non facessero ritorno.
Delhi ha scelto di seguire la linea dell’incidente, evitando di rimestare sulle storie fiorite intorno al presunto complotto italiano. Alla fine, la Suprema Corte ha tolto la vicenda dalle mani della corte del Kerala spiegando che sarebbe stato costituito un tribunale speciale di diritto internazionale marittimo. Prima dell’incidente della Lexie, l’India aveva comunque sottoscritto un accordo con l’Italia per cui cittadini accusati di crimini in un’altra nazione avrebbero dovuto essere giudicati nella loro patria di origine. A quel punto, con un atteggiamento pragmatico, i giudici del Kerala hanno accettato la decisione delle suprema corte.
I principi e la difesa degli interessi dello Stato indiano ne sono usciti rafforzati e lo stesso Chandy ha mostrato le sue doti di negoziatore e protettore della legge, che gli torneranno utili politicamente. Ironia della sorte, scrive il New York Times, gli eroici sforzi fatti dal governo italiano per riportare a casa i Marò sono stati apprezzati da parecchi indiani, compresi gli abitati del Kerala, che adesso si chiedono se il governo indiano faccia abbastanza quando si tratta di difendere i propri compatrioti accusati per crimini meno gravi dei nostri Marò in altre parti del mondo.