Maroni, i rom e la banalità del male
01 Luglio 2008
di redazione
Il fatto che l’equiparazione tra le impronte digitali per i bimbi rom e i campi di concentramento nazisti per gli ebrei sia avanzata dall’Unità o dal Manifesto può dispiacere ma non stupisce. Sono organi di partito e fanno il loro duro mestiere. Ma che quel terribile parallelo sia anche solo ammesso o avallato da intellettuali ebrei, questo sì lascia in un mare di stupefazione.
Se avete letto in questi giorni interviste e dichiarazioni di personaggi come Gad Lerner, Moni Ovadia o Amos Luzzatto ve ne sarete resi conto anche voi. E’ anche possibile che i suddetti giornali, ma non solo, abbiano trasformato qualche pudico sussurro in un boato. Sta di fatto che, chi più chiaramente e chi meno, i tre valenti intellettuali – uno dei quali anche ex presidente della Comunità Ebraica – hanno lasciato intendere che quel paragone è fondato.
La cosa è davvero incredibile perché chiunque tenti anche il più prudente parallelo tra il genocidio ebraico e qualsiasi altra grande tragedia dell’umanità, si sentirebbe con ogni probabilità rimproverare aspramente (e forse anche a ragione) che nulla è paragonabile al male assoluto del nazismo.
Non il genocidio degli armeni, non i gulag staliniani, non i massacri di Pol Pot: gli intellettuali ebrei sostengono che quanto è accaduto al loro popolo è una pura, assoluta, ineguagliabile singolarità del male, al cui confronto ogni altro crimine impallidisce. E, ripeto, credo abbiano ragione.
Invece, all’improvviso scopriamo che l’iniziativa del ministro dell’Interno Maroni di identificare tramite impronte digitali i minori residenti nei campi nomandi, quella sì, quella ha a che fare con il “male assoluto”, quella ricorda e prelude il destino degli ebrei nella Germania nazista.
Al governo Berlusconi si attribuisce dunque questo funesto miracolo: trasformare la Shoah in una circolare prefettizia. D’ora in poi sarà più difficile contrastare negazionisti e revisionisti d’ogni risma. Complimenti, bel capolavoro.