Massaggiatrici e “monnezza”: la mafia cinese invade Roma

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Massaggiatrici e “monnezza”: la mafia cinese invade Roma

22 Ottobre 2008

In passato i mafiosi cinesi nei Paesi occidentali non davano nell’occhio. Si mimetizzavano per guadagnare in fretta la cittadinanza. Laboriosi criminali, sottomettevano i loro connazionali clandestini a turni di lavoro massacranti, ricavando guadagni esorbitanti. E’ stata una mafia sottovalutata almeno fino agli anni ’90. A quell’epoca l’ONU stimava che in Cina ci fossero almeno 150.000 gruppi criminali e oltre 600.000 bande di media importanza.

Il dumping delle Triadi risale alle “liberalizzazioni” del premier Deng Xiaoping, quando il sistema economico cinese venne consegnato nelle mani della mafia. La morale maoista e il miti dell’onestà comunista crollavano e il nuovo imperativo categorico divenne arricchirsi con qualsiasi mezzo. Nell’aprile del 1993, il ministro della Polizia Tao Siju poteva concludere soddisfatto: “i membri delle Triadi non sono tutti dei gangsters. Se si comporteranno da patrioti, assicurando la prosperità di Hong Kong, noi dovremo rispettarli”.

Nel 1997 Hong Kong passò sotto la sovranità di Pechino e le triadi si globalizzarono. La metropoli dell’Estremo Oriente divenne il centro di raccordo della maestranze criminali cinesi più agguerrite provenienti dal Mar Giallo e dalla Cina delle campagne. Hong Kong era e resta la capitale mondiale del traffico di eroina. I tossici tremano solo sentire il nome della “China White”, una sostanza sintetica purissima e mortale. Le Triadi vegliano sul “Triangolo d’oro”, lo storico centro della produzione di oppiacei. Un’area vastissima compresa tra il Myanmar, la provincia cinese dello Yunnan, il Laos e la Thailandia. 

I mafiosi cinesi hanno egemonizzato le loro comunità all’estero, negli Usa, in Australia e in Europa. Il fiorire di ristoranti, negozi di vestiario, money transfer, è solo il primo stadio di un processo che genera enclave dove si commercia in pubblico e si delinque in privato. I vecchi residenti vengono espulsi dal loro quartiere e questo provoca rabbia e atti di xenofoba. La Chinatown mafiosa di Piazza Vittorio a Roma non somiglia allo Zen di Palermo – non è una fortezza inespugnabile ma quartiere in via di sviluppo, con dietro l’artiglieria del Dragone, la potenza di una criminalità secolare.

Nel 1991 viene sgominata la “Testa di Tigre”, il clan del boss Zhou Yi Ping. L’organizzazione era dedita al controllo delle attività imprenditoriali cinesi di Roma, attraverso estorsioni, sequestri di persona, tratta dei clandestini. Zhou aveva rapito il connazionale Zhou Chao Hua, proprietario di un grande ristorante. Il boss arrivò perfino a minacciare il Pm Giovanni Salvi, che è stato uno dei primi magistrati italiani a intuire la portata del fenomeno criminale cinese. Proprio Salvi, nel ‘93, riuscì a spedire Zhou in galera.

Roma è uno dei gangli fondamentali nella logistica delle Triadi. Nelle periferie della capitale i boss hanno creato un’infrastruttura che si occupa di stoccaggio criminale. E i complici sono italianissimi. Durante l’operazione “Ultimo Imperatore”, nel 2005, la DIA scopre una società che veniva usata come centro di smistamento del denaro sporco delle triadi. Era gestita da due “imprenditori” romani. Da Milano a Bari, dove viene arrestato Dong Xueshi: gestiva il traffico dei clandestini cinesi provenienti dall’Albania grazie a una coppia di pluripregiudicati brindisini. I Balcani si rivelano uno dei corridoi privilegiati nei traffici di droga e corpi umani diretti verso l’Europa.

Sempre nel 2005, in aprile, la polizia di Milano libera dalla schiavitù circa 40 ragazze cinesi costrette a prostituirsi con un tariffario che oscillava dai 30 ai 150 euro. Sembra che le “massaggiatrici”, giovani, carine e disponibili a rapporti senza preservativo, fossero particolarmente apprezzate dai clienti. I boss arredavano di persona le prigioni del sesso – dal kimono alle lanterne rosse. L’operazione “Riso Amaro” si è conclusa con la scoperta di un ambulatorio dove si abortiva clandestinamente.

L’operazione “Grande Muraglia”, scattata nel luglio del 2008 grazie al pentimento del boss Salvatore Giuliano, è solo l’ultimo di una lunga serie di colpi che hanno scalfito ma non indebolito i boss dell’Estremo Oriente. Sette ordinanze di custodia cautelare e 5 milioni di euro sequestrati. Giuliano era uno dei pezzi da novanta della Camorra, il reuccio del quartiere Forcella di Napoli. Messo alle strette confessa il patto scellerato con i boss cinesi.

Giuliano parla anche del clan dei Casalesi, i leader mondiali dello smaltimento illecito di rifiuti. Il meccanismo è questo: la monnezza viene accumulata nei container del porto di Napoli e spedita in Cina via mare. Nei container ci sono scarti di ospedali, solventi, composti chimici, vernici, materiali radioattivi, tutta roba tossica. Dall’altra parte del mondo c’è gente disperata e pronta a inabissarsi in questo magma nauseabondo per trasformarlo in giocattoli, occhiali da sole, cinte e scarpe.

Completato il “riciclaggio” la merce viene portata nuovamente a Napoli e contraffatta nei magazzini della Camorra e infine imposta ai commercianti e agli abusivi cinesi (e non). I proventi di queste attività vengono reinvestiti nell’acquisto di case, ristoranti, concessionarie automobilistiche a Roma e dintorni. Infine le merci finiscono di nuovo nei rifiuti. E il circolo dei malamente ricomincia.

Il jet set mafioso cinese è diventato sfacciato e arrogante. Girano in Suv, usano cellulari all’ultima moda, mandano i loro figli in scuole esclusive. Per smaltire 15 tonnellate di rifiuti pericolosi in Italia si spendono circa 60.000 euro. In Cina ne bastano 3.000.