Massimiliano e Luigi. Roma rende onore al sacrificio degli Alpini
20 Maggio 2010
di redazione
Il C-130 dell’aeronautica militare è atterrato ieri all’aeroporto di Ciampino. All’interno i feretri del sergente Massimiliano Ramadù e del caporal maggiore Luigi Pascazio, uccisi lunedì dall’esplosione di un ordigno mentre erano a bordo di un blindato Lince a Herat, nell’ovest dell’Afghanistan. Oggi le esequie. Davanti a una folla di persone e alle più alte cariche dello Stato sono iniziate alla Basilica di Santa Maria degli Angeli a Roma i funerali degli alpini.
Gianfranco Scirè, il caporal maggiore rimasto ferito nell’attacco insieme al caporale Cristina Buonacucina, non voleva mancare. Quindi, nonostante la grave frattura riportata alla tibia, è giunto stamattina nella Basilica su una sedia a rotelle per portare l’ultimo saluto ai suoi commilitoni. Era fortissimo il desiderio di partecipare, aveva annunciato ieri, perciò ha preso posto affianco alle due bare avvolte dal Tricolore.
Come lui molti altri i militari che, a titolo personale o in rappresentanza delle Forze Armate, hanno preso posto sui banchi lungo la navata centrale. Davanti alla chiesa il picchetto d’onore delle interforze e la banda dell’Esercito ad intonare la marcia funebre. Alle dieci le bare sono entrate in chiesa portate a spalla dai militari, accolte da un lungo applauso, e una volta poste al centro della navata, la cerimonia solenne è iniziata. Nelle prime file, oltre ai familiari dei caduti, le principali cariche dello Stato e del Governo.
Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi a testa alta quando, durante l’omelia, monsignor Vincenzo Pelvi ha detto: "Il sacrificio dei nostri militari non è vano, non solo per l’Afghanistan ma anche per l’Italia e il mondo intero". Intorno, soltanto il silenzio. Insieme a loro, anche il presidente del Senato Renato Schifani, quello della Camera Gianfranco Fini e il sottosegretario Gianni Letta. Poi i ministri Umberto Bossi, Ignazio La Russa, Roberto Maroni, Stefania Prestigiacomo, Raffaele Fitto, Renato Brunetta, Altero Matteoli e il capo di Stato Maggiore della Difesa Vincenzo Camporini. Ma anche i presidenti di Regione Roberto Cota (Piemonte), Luca Zaia (Veneto), Renata Polverini (Lazio), il capo della Protezione civile Guido Bertolaso. Tra gli esponenti dell’opposizione ci sono Pier Ferdinando Casini e Piero Fassino.
"Quando Luigi e Massimiliano hanno scelto la professione militare volendo partecipare in modo attivo e creativo alla pace hanno scelto di donare tutto loro stessi per gli altri", ha continuato Monsignor Pelvi. "Amore e pace sono inseparabili – ha detto –, la pace è un effetto dell’amore, deve essere fondata sul senso dell’intangibile dignità umana, sul riconoscimento di un’incancellabile e felice uguaglianza fra gli uomini, su dogma basilare della fraternità umana. La società non è capace di futuro se si dissolve il principio di fraternità".
"Questo è un patrimonio che deve irrobustire la coscienza nazionale di noi italiani. Siamo un’unica grande famiglia, questo comporta il coraggio di passare dall’indifferenza all’interessamento per l’altro, dal rifiuto alla sua accoglienza: gli altri non sono concorrenti da cui difenderci, ma fratelli e sorelle con cui essere solidali". "Loro sono nostra carne e il nostro sangue italiano da amare – ha pregato Pelvi – ci arricchiscono con la loro presenza. Il sacrificio di Massimiliano e Luigi non è vano non solo per l’Afghanistan ma per l’Italia e il mondo intero. Ignorare il pericolo terrorista non allontana la minaccia, ma la porta dritto nelle nostre case. La sfiducia nell’azione umanitaria, potrebbe essere la tomba dell’umanità".
Durante la funzione una soldatessa ha letto la preghiera dell’alpino: "Dio onnipotente che governi tutti gli elementi salva noi, armati come siamo di fede e amore". "Rendi forti le nostre armi – ha recitato – contro chiunque minacci la nostra Patria". Al termine della cerimonia i due feretri sono stati portati fuori dalla basilica, tra gli applausi. Dietro le bare i familiari dei militari, in preda ad un dolore straziante.