Mediazione civile, atto di civiltà nel Paese del “speriamo che me la cavo”
09 Dicembre 2013
Tutto ebbe inizio il 18 ottobre di tre anni fa: al dicastero di via Arenula, in veste di Guardasigilli, c’era Angelino Alfano. La data si riferisce al Decreto Ministeriale 180, in attuazione e specifica di quanto contenuto nel Decreto Legislativo 28/2010, quello sulla mediazione civile. Uno dei punti centrali del programma del Nuovo Centrodestra è la riforma della giustizia: se ne è parlato ampiamente lo scorso 30 novembre nel corso del FabLab di Milano, durante il quale è stata più volte sottolineata la necessità di una riforma del Codice Penale.
Ma la giustizia non è solo penale: ce n’è un’altra, civile, numericamente altrettanto consistente. Non solo perché siamo un Paese di ‘litigiosi‘: alzi la mano chi, almeno una volta nella vita, non si è imbattuto nella necessità di ipotizzare l’apertura di un contenzioso per questioni condominiali, piuttosto che per una vicenda ereditaria o, ancora, per un sinistro con l’automobile. E quante sono state le volte in cui si è lasciato perdere, scoraggiati dagli anni (si arriva anche a sette-otto anni per uno solo dei tre gradi di giudizio) che passano dal deposito della citazione al pronunciamento della sentenza. A tutto questo (snellimento del contenzioso civile) rispondeva il Decreto Legislativo 28/2010 sul tentativo obbligatorio di mediazione, condizione di procedibilità all’azione civile. Che, tradotto, significa: vuoi farmi causa (civile)? Bene: prima tentiamo di metterci d’accordo fuori dai tribunali, ricorrendo ad un mediatore terzo.
Un Decreto Legislativo, dunque. Durante il FabLab di Milano è stato giustamente sottolineato come deputato ad emettere leggi sia in primis il Parlamento e solo in subordine il Governo. Ma a volte è necessario parlare a nuora perché suocera intenda. In più c’è di mezzo quell’aggettivo, "obbligatorio", considerato un’eresia da una parte dell’Avvocatura. Così, pronti via, i ricorsi davanti al Tar che, a sua volta, li spedisce alla Corte Costituzionale, proprio mentre (a partire da marzo 2011), il Decreto iniziava ad entrare gradualmente a regime, prima con un ‘blocco’ di materie e pienamente, da marzo 2012.
La mediazione obbligatoria, tra mille polemiche e ‘Saturni Contro’ entra finalmente nel vivo; entra a far parte della cultura giuridica italiana. Già, perché di cultura, in fondo, si tratta: immaginate di andare da un cittadino dell’Europa del Nord (lasciamo pure fuori il mondo anglosassone, dove la cultura conciliativa è un must) e provate a porgli la domanda: "Ma perché stai andando a risolverti questa controversia da un mediatore? Lo sai che puoi prenderti un buon avvocato e andare davanti a un buon giudice?". Bene che vi vada, penserà di dover ricorrere ad una buona (quella sì) camicia di forza.
Risultati (ministeriali) alla mano sembra proprio che il buon Angelino, Ministro della Giustizia, avesse ragione. Dunque perché mai procedere di gran carriera verso la strada intrapresa? Accade così che, dopo tanto pensare, la Corte Costituzionale emetta il suo verdetto. Che, però, non pone l’accento sul piano della costituzionalità dell’obbligo del tentativo propedeutico di mediazione (contrariamente a quanti, avversi all?istituto giuridico, vogliono far credere) ma su quello dell’eccesso di delega. Come dire, Parlamento fai il tuo lavoro e poni rimedio.
Ma siamo al 6 dicembre 2012, esattamente un anno e tre giorni fa e in Parlamento già si è proiettati alle elezioni di febbraio. Certo, tentativi (attraverso emendamenti e sub-emendamenti) ne sono stati fatti. Tutti vanamente. Con buona pace del ‘cittadino comune’ e per la felicità di certa avvocatura che, stando a voci di corridoio, aveva appreso la notizia con toni manco l’Italia avesse vinto il quarto titolo mondiale di calcio. E con buona pace, anche, di chi (nel frattempo) inizia a portare conferme al fatto che, tutto sommato, Angelino Alfano Ministro della Giustizia aveva ragione. Attenzione, non un titolare di organismo di mediazione, ma Confindustria che snocciola cifre intorno ai 480 milioni di euro di risparmio stimato per imprese e cittadini nell’anno e mezzo di vigenza del tentativo obbligatorio di media conciliazione. A cui va aggiunta la notevole percentuale (i dati ministeriali parlano di quasi la metà) di potenziali cause che tali non sono diventate proprio grazie all’istituto giuridico alternativo.
Finalmente, dopo un periodo di riflessione, il Decreto del Fare che ripristina, con dei correttivi, l’obbligatorietà della mediazione. Correttivi non da poco, intendiamoci, visto che prevede anche l’obbligatorietà (nella versione originaria non sancita) di presenziare una mediazione con l?assistenza di un avvocato, oltre ad un incontro programmatico (in sostanza, per sondare il terreno) di fatto gratuito. Niente da fare: pare che i ?soliti noti? vogliano scomodare di nuovo il Tar, trincerandosi dietro il finto paravento che in questo modo (cioè con la mediazione obbligatoria) il ‘cittadino comune’ non avrebbe facile accesso alla giustizia civile, sentendosi scoraggiato da quello che vedono (loro) come un ulteriore grado di giudizio.
A tal proposito sarebbe interessante conoscere il parere di quel signore che, per una causa di eredità, si è visto (ad ottobre 2012) rinviare la causa ad un’udienza successiva allìottobre del 2019. Si dice il peccato (sette anni di rinvio); non il peccatore (il tribunale). L‘avvocato del Tizio, contattata la Cancelleria, viene prontamente tranquillizzato: "Non si preoccupi; non si tratta di un refuso". Il signore, un ‘cittadino comune’ di circa 70 anni, la butta alla maniera di Totò: "Be’, speriamo che i miei figli vedano la sentenza?. Totò era il Principe della Risata, ma qui davvero c’è poco da ridere.