Medio Oriente, dove l’omosessualità è ancora (quasi ovunque) un reato
16 Maggio 2009
Considerati un prodotto della corruzione occidentale, l’islam integralista sta fomentando una reazione isterica anche contro gli omosessuali, salvo poi scoprire che l’amore fra persone dello stesso sesso è pratica tanto più diffusa nel mondo musulmano quanto più rigidi sono i divieti moralistici sulla sessualità. In tutte le società del Medio Oriente l’omosessualità non viene accettata, e, se nel migliore dei casi non se ne vuole riconoscere l’esistenza, come ha fatto Ahmadinejad, nel peggiore – e più comune – la si perseguita col carcere e la pena di morte. Quando non è la legge a giustiziare gay e lesbiche anche minorenni, come in Iran, ci pensano ad assassinarli le consuetudini tribali delle comunità, ben accette e non ostacolate dalle autorità.
In realtà, non ci sarebbe da stupirsi, se si pensa che il civilissimo Canada solo nel 1969 ha cancellato dai reati le pratiche omosessuali, con una spiccia sentenza in cui si recita che «lo stato non deve interferire nella camera da letto dei suoi cittadini». Sacche di omofobia sono presenti tuttora in Occidente, riflesso di atavici pregiudizi popolari e di tipo religioso, cattolico in particolare, che tardano ad estinguersi completamente.
Purtroppo, però, quando nel 2003 la Commissione delle Nazioni Unite per i diritti umani ha discusso per la prima volta dell’omosessualità in riferimento a una risoluzione del Brasile, furono cinque paesi islamici (Arabia Saudita, Egitto, Libia, Malesia e Pakistan) a bloccarla. Farian Sabahi, giornalista della Stampa, spiega come «non esiste una chiara posizione “islamica” e le situazioni sono diverse, nel diritto e nella pratica: 21 paesi su 51 aderenti all’Organizzazione della Conferenza islamica (OCI) e 6 dei 21 membri della Lega araba non sono elencati dall’ILGA (The International Lesbian and Gay Association) tra coloro che vietano chiaramente la sessualità tra persone dello stesso sesso». Nell’ultimo decennio sono state eseguite condanne a morte per sodomia in Arabia Saudita, Afghanistan, Iraq e Iran, ma il dato eclatante è che tale tendenza è in preoccupante incremento, specie nel paese degli ayatollah e nel nuovo Iraq.
L’omosessualità è legale solo in Israele e Giordania, ma anche in questi due casi da pochi anni; per il resto, si va da pene di un anno di reclusione previste in Libano e in Siria, ai dieci anni di prigione previsti nei Territori palestinesi e Bahrein, per finire con la pena di morte con cui possono essere puniti gli omosessuali di Iran, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Yemen. «In Arabia Saudita i gay rischiano la pena di morte ma si frequentano comunque, anche perché la Costituzione sancisce la sacralità della casa, dove non si può entrare senza il permesso del proprietario. In Egitto non esiste una legge che sanziona l’esercizio della sessualità con persone dello stesso sesso ma, nonostante questo, gli omosessuali sono perseguitati». In Iran, il dottor Parvaneh Abdul Maleki, sociologo dell’Università Iraniana, in un suo studio ha dimostrato come la popolazione abbia un alto tasso di esperienze omosessuali, nonostante le pressioni e le negazioni delle autorità religiose, e leggi crudeli che colpiscono il sesso al di fuori del matrimonio e persino la masturbazione, mentre l’adulterio e l’omosessualità sono puniti con la morte. Dai suoi dati emerge che il 24% delle donne e il 16% degli uomini hanno ammesso di aver avuto almeno una esperienza omosessuale, con però solo il 4% che ammette d’avere avuto relazioni omosessuali affettive. Dal 1979, anno della rivoluzione iraniana, sono stati condannati a morte e uccisi per omosessualità tra i 3 e i 4 mila giovani.
Non molto migliore è la situazione nell’Iraq post Saddam Hussein. Il reato di omosessualità ufficialmente è punito con un massimo di sette anni di detenzione, ma il problema sono le esecuzioni illegali. A Sadr City, sobborgo meridionale di Baghdad dominato dai seguaci del leader radicale sciita Moqtada Sadr, ogni volta che le autorità religiose condannano pubblicamente l’omosessualità, vengono ritrovati corpi di ragazzi gay processati illegalmente e assassinati. La polizia di Bagdad il 25 marzo ha riferito di aver dissotterrato anche negli ultimi giorni cadaveri su cui era stata apposta la scritta deviato, portando così a una decina le recentissime uccisioni di gay. I sospetti di omosessualità vengono uccisi dai membri delle loro stesse tribù per lavare l’onore della famiglia. L’organizzazione gay irachena Iraqi Lgbte è costretta ad avere la sua sede a Londra, e afferma che sono state confermate 34 esecuzioni nel 2008, 33 nel 2007 e 65 nel 2006, ma i numeri nella realtà sarebbero molto superiori.
Quello che giova mettere in evidenza è che si tratta di un trend attuale, sempre originato dalla solita ideologia islamista mistificatoria in cui gli occidentali sarebbero i predoni, conquistatori, depravati, e i musulmani le povere sane vittime da proteggere dalla decadenza europea e americana, e proprio l’omosessualità ricadrebbe nel pervertimento occidentale. In passato, tuttavia, le società arabe sono state assai più tolleranti di altre, come dimostrato da testi letterari e diari di viaggio degli europei. «È la letteratura araba moderna a trattare il tema dell’omosessualità in chiave negativa – spiega ancora Farian Sabahi –, descrivendo giovani arabi alla mercé di uomini occidentali maturi, metafora politica della colonizzazione europea e simbolo di decadenza. Oppure come una malattia trasmessa dagli stranieri. Nonostante le discriminazioni, in Medio Oriente l’omosessualità è diffusa e, in un certo senso, promossa dalla segregazione tra i sessi e dall’importanza della verginità delle fanciulle fino alle nozze. Inoltre, gli arabi che rivolgono la propria attenzione allo stesso sesso non si considerano gay, lesbiche o bisessuali».
Il giornalista inglese Brian Withake ha scritto un importante libro sull’argomento (L’amore che non si può dire): «Oggi l’omosessualità in Medio Oriente è sentita come una “malattia dell’Occidente”, da curare anche con l’elettroshock. In passato c’era più tolleranza. Poi dagli anni Settanta c’è stato il radicarsi della religione, e il fatto che arabi e musulmani si siano sentiti assediati dall’Occidente. Recuperare i propri valori, le tradizioni, è un’autodifesa che porta a rifiutare tutto quello che viene da noi. E i simboli (negativi) sono appunto l’omosessualità e la nudità femminile».
Da questo punto di vista, il paese più aperto e rispettoso dei diritti umani in Medio Oriente è Israele. Nei Territori palestinesi gli omosessuali trovano spesso scampo in Israele, di fronte al rischio d’essere uccisi perché compromettono l’onore della famiglia: sono tra i 300 e i 600 gli omosessuali palestinesi che finora hanno trovato rifugio presso il vicino ebraico. Eppure anche qui de facto la situazione non è sempre rosea, tanto che il solo esempio “storico” di totale accordo fra rabbini, imam e vescovi si è avuto nel 2007, alleati contro i “sodomiti” del Gay Pride di Gerusalemme. «Petizioni, cassonetti bruciati, danni per 100 mila dollari, un attentato all’Open House, l’associazione omosessuale israeliana», racconta la reporter Francesca Paci, «sette giorni di fuoco culminati con l’arresto di un 35enne haredim, ultraortodosso, che voleva salire alla Spianata delle moschee per convertirsi all’islam, “ultimo baluardo contro la depravazione”». Accanto a quella emancipata, dunque, largamente prevalente, c’è anche un’Israele omofoba. Nell’esercito israeliano, comunque, non esistono pregiudizi: gay e lesbiche servono in tutte le unità, nell’intelligence come nei reparti d’assalto, tutelati contro qualsiasi molestia, e il 73% degli israeliani è pronto ad accettare un figlio omosessuale, pur ammettendo la difficoltà. Non ne è esclusa nemmeno casa Olmert, con la primogenita lesbica dichiarata.
In Libano la situazione è ambigua ma qualcosa sta migliorando, esempio di come anche in questo caso il paese si dimostri il più avanzato fra i musulmani nella battaglia in corso tra libertà e totalitarismo in tutte le sue molteplici sfaccettature, in questo caso le libertà sessuali in quanto libertà politiche. Helem (che in arabo significa sogno, ma è anche l’acronimo per Protezione Libanese di Gay, Lesbiche, Bisessuali) è la sola organizzazione per i diritti umani dei gay con sede a Beirut, e sta promuovendo l’eccezionale campagna per depenalizzare l’omosessualità nel mondo arabo. Come ovunque, anche qui non mancano episodi di violenza e discriminazione, spesso sepolti dall’indifferenza. Il Libano, però, ha una grande tradizione di liberalità e tolleranza, e il gran numero di locali ed eventi per gay a Beirut ne è la conferma. Helem si dà da fare per migliorare il più possibile la condizione di queste minoranze.
Oggi, però, anche il Libano rischia di finire travolto dalla deriva integralista, vista l’inarrestabile ascesa di Hezbollah, in predicato di vincere le prossime elezioni di giugno, e la penetrazione culturale dell’Iran sciita e khomeinista. Il rischio è che l’unica vera fiamma di libertà nel mondo arabo-musulmano possa spegnersi. A quel punto, resterà solo Israele come oasi di democrazia e diritti umani.