Meglio l’università fascista di quella di Asor Rosa

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Meglio l’università fascista di quella di Asor Rosa

19 Aprile 2010

"Cancellare i Dipartimenti distrugge la ricerca" ha scritto Alberto Asor Rosa nell’articolo su ‘Repubblica’ del 14 aprile in cui ha sferrato un attacco feroce alla proposta del Ministro Gelmini di ridurre il numero degli  attuali Dipartimenti universitari, spesso  nati  non da esigenze di ricerca ma sulla base di simpatie o di antipatie personali. Nella città, in cui insegno, Genova, i filosofi sono divisi tra quattro Dipartimenti — peraltro non comunicanti — con sprechi di risorse, tra libri, riviste, progetti di ricerche, facilmente immaginabili.

Neppure a me piace la proposta di rendere obbligatorio il numero di 40/50 docenti per rifondare un nuovo Dipartimento: sarebbe bastato rendere obbligatorio l’accorpamento per settori scientifici affini. Ma non di questo voglio parlare bensì dell’insolita violenza di una critica che non risparmia neppure la persona del Ministro: "una povera, indifesa e incapace prestanome del Super Ministro Tremonti" (nei blog ‘antagonisti’ raffigurata con le orecchie d’asina).

Si potrebbero anche scusare, in nome di una ‘passione civile’ non sempre misurata, espressioni così offensive se non venissero dal pulpito di un docente che ha contribuito, come pochi altri in passato, a massacrare le Facoltà umanistiche senza battere ciglio dinanzi allo "strazio" e al "grande scempio" dell’Università italiana "colorata in rosso".

Mi limito al caso della mia Facoltà, Lettere e Filosofia. A quanti, prima del ’68, avevano scelto l’indirizzo filosofico, l’Università fascista aveva riservato un piano di studi ineccepibile che rendeva obbligatori tre insegnamenti filosofici biennali, due letterature (italiana e latina), tre storie (romana, medievale e moderna), una pedagogia e una materia scientifica — che poteva essere Psicologia o altra disciplina. Oltre la metà dei corsi necessari per conseguire la laurea veniva, invece, scelta liberamente dagli studenti tra materie storiche, filosofiche, linguistiche, economiche, giuridiche, sociologiche e politologiche.

Grande libertà, come si vede, all’interno di un percorso didattico e scientifico non poco esigente. Con la famigerata ‘liberalizzazione dei piani di studio’ letterature e storie sono scomparse come materie obbligatorie e, con esse si sono perdute, da un lato, la consapevolezza che i grandi prosatori e poeti rappresentano i momenti più alti della cultura e della civiltà di un popolo, l’ambiente spirituale che illumina dall’interno le stesse opere filosofiche; dall’altro, quella ‘coscienza storica’ che è sola in grado riempire di ‘vissuti’ significativi le altrimenti vuote categorie del pensiero.

Tempo fa, nel corso di un’interrogazione (di ‘Storia del pensiero politico’) chiesi a un  laureando in Storia, al suo ultimo esame, di parlarmi di John Locke ovvero del primo grande liberale europeo che, nei suoi saggi sul governo civile, aveva per così dire legittimato la ‘Gloriosa Rivoluzione’ del 1688 e quindi il governo parlamentare inglese. Poiché non aveva mai sentito ‘quel nome’, ricordai allo studente l’esilio degli Stuart e il significato storico dell’ascesa al trono di Guglielmo d’Orange. Anche qui scena muta. "Ma come può laurearsi in storia con queste lacune?" gli dissi e lui con aria trionfante: "Ma io mi laureo di Storia contemporanea, non in Storia moderna!".

E’ questa l’Università che Asor Rosa & C. hanno sostituito a quella ‘fascista’ e che ora sbattono in faccia all’incompetente Gelmini! La faccia tosta dei nostri maîtres-à-penser non è di bronzo, è d’acciaio…  (Dino Cofrancesco)