Melania d’Arabia, il viaggio di Trump e le fake news
22 Maggio 2017
Il discorso a Riad di Trump? Con la sua proverbiale moderazione, la conservatrice Ann Coulter lo riassume così: il maschio alfa, The Donald, non ha bisogno dell’inchino davanti ai regnanti sauditi come fece il maschio beta, Obama. Tramontati il soft power e le primavere arabe di Barack Hussein, gli Usa tornano alla politica di potenza, che per Trump vuol dire fare affari, “jobs, jobs, jobs”, lavoro per gli americani e ghiotte commesse per il complesso militare-industriale. Il discorso scritto da Stephen Miller, dietro cui c’è lo zampino di Kissinger, prefigura una nuova westfalia per il Medio oriente, dove ogni stato sovrano ha diritto di vivere secondo le proprie leggi, religioni e costumi, dice Trump, visione che probabilmente non dispiacerà a Netanyahu e ad Israele, seconda tappa del viaggio presidenziale dopo l’Arabia Saudita.
La guerra al terrore non è una guerra di religione e neppure uno scontro di civiltà, spiega il Don, che però chiede ai sauditi e ai regni del Golfo d’impegnarsi nella lotto contro ISIS (anche nello Yemen la situazione sembra sfuggire di mano a Riad), mentre Re Salman si scaglia contro l’Iran sciita, accusandolo di essere la sentina del terrorismo internazionale. Vedremo come risponderà da Teheran il presidente Rohani, il ‘riformista’ Rohani che nei giorni scorsi ha vinto di nuovo le elezioni. E mentre le linee di faglia nella guerra mondiale islamica sembrano resettarsi secondo schemi del passato, il mondo sunnita alleato degli Usa da un parte, e quello sciita, la cintura verde di Mosca, dall’hezbollah libanese alla Siria fino a Teheran, dall’altra, la novità è che Trump e Putin ora si parlano.
Anche per il viaggio a Riad non mancano le fake news messe in giro dai giornaloni su Trump: Newsweek s’indigna perché il presidente degli Usa, dopo aver firmato l’ordine che vietava l’ingresso nel Paese agli immigrati provenienti da stati musulmani giudicati sponsor del terrorismo, adesso usa la carota con la casa saudita. Newsweek però deve aver dimenticato che l’Arabia Saudita, insieme all’Egitto (nel discorso, Trump ha nominato al Sisi) e alla Turchia non sono mai entrati nella “black list”, nella lista nera dei Paesi raggiunti dal #muslimban. I media americani, insomma, continuano a comportarsi in modo disgustoso e con una assoluta mancanza di professionalità verso questa presidenza (la grande stampa italiana non è da meno, ieri su uno dei nostri giornaloni si poteva leggere che Trump è un “autocrate”).
Un posto a parte nel nostro racconto lo merita Melania, Melania Trump, la first lady, bella e altera, terribilmente sexy in quel vestito lungo e nero dicono ispirato alla tradizionale “abaya”. Melania con il viso e la testa scoperti, Melania che agli occhi del mondo arabo deve essere apparsa come una sorta di Leila Al-Fayeed, la protagonista della serie tv “Tyrant”, ambientata in un immaginario regime arabo dove le donne si battono per autodeterminarsi e anche per conquistare il potere. Insieme al Don e alla first lady, in viaggio c’è anche la “first daughter”, Ivanka, che alle donne saudite dice: “I progressi in Arabia Saudita, specialmente negli ultimi anni, sono molto incoraggianti, ma c’è ancora molto da fare”. Ancora oggi alle donne del regno non è permesso guidare, sono obbligate a coprirsi con il velo integrale e devono chiedere il permesso di uscire a padri, fratelli o mariti.
C’è ancora molto da fare, dunque, ma non potete più chiedere agli americani di farlo al posto vostro, avverte Trump. Possiamo fare affari, combattiamo insieme il terrorismo che vi siete coltivati in seno, ma è ora che l’islam cambi da solo.