Memoria e identità nella storia di Ida
05 Aprile 2014
Una giovane orfana (Agata Trzebuchowska), cresciuta tra le mura del convento, sta per farsi suora: poco prima di prendere i voti, la madre superiora le rivela che ha una parente ancora in vita, Wanda (Agata Kulesza), sorella di sua madre. L’incontro con la zia la spinge a intraprendere un viaggio alla ricerca del suo passato. La ragazza scopre di essere ebrea e che il suo vero nome è Ida Lebenstein.
Ha così inizio un viaggio nella Polonia del 1962 in cui le due donne cominciano a conoscersi e a scoprire i segreti della loro famiglia. Alla fine, Ida si troverà a scegliere tra il convento che l’ha salvata durante l’occupazione nazista e la sua ritrovata identità di donna. Un piccolo gioiello cinematografico che meriterebbe maggiore distribuzione e successo. Se però siete abituati al ritmo del cinema americano, potreste non cogliere il raffinatissimo linguaggio di Pawel Pawlikowski e della cosceneggiatrice Rebecca Lenkiewicz che raccontano una dolorosa vicenda causata dalla seconda guerra mondiale e dalle persecuzioni razziali.
Il bianco e nero dà la giusta drammaticità alla storia, i dialoghi essenziali e la recitazione delle due interpreti svelano abilmente la complessa personalità delle due protagoniste e i segreti della loro famiglia.
“Se non sei ancora stata con un uomo, non puoi sapere a che cosa rinunci”, dice Wanda a Ida. La zia è una donna libera ed emancipata, la nipote è una ragazza senza alcuna esperienza di vita, se non quella monacale. Le due sono diversissime tra loro: la donna appare spregiudicata e sicura di sé, la ragazza sembra indifesa e fragile. Alla fine del viaggio avverrà un ribaltamento rivelatore della fragilità di Wanda e della lucidità di Ida che, solo dopo avere conosciuto gli uomini, la sua storia e quella del suo paese, potrà decidere se prendere il velo.