Mentre Europa e Usa blaterano di crisi la Cina pensa a uno yuan mondiale

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Mentre Europa e Usa blaterano di crisi la Cina pensa a uno yuan mondiale

26 Maggio 2012

E’ arcinoto che la Cina, una delle potenze economiche mondiali in più rapida ascesa negli ultimi anni, debba fare i conti con una inflazione galoppante. Una questione su cui pesano le divisioni interne al Partito Comunista Cinese (Pcc). Da tempo, l’azione delle autorità cinesi mira a potenziare il consumo interno. Su questo fronte, un ostacolo fondamentale è rappresentato dalla rigida centralizzazione del controllo sui tassi d’interesse del sistema bancario cinese.

Gli interessi forniti dalle banche cinesi ai correntisti infatti sono oggi molto vicini allo zero. I capitali depositati non producono ricchezza rilevante, fenomeno che impatta la ricchezza delle famiglie cinesi.

Sinorea questo meccanismo, che permette alle aziende di ottenere prestiti a interessi bassissimi, ha mantenuto in vita per anni imprese statali con bilanci disastrati. Pedine che mantengono tutt’ora un proprio significato a livello politico: non di rado gli ad o i presidenti di queste imprese sono riconducibili a gruppi di potere interni al Pcc e osteggiano ogni proposta di cambiamento.

La riforma dei tassi di interesse favorirebbe una maggiore concorrenza tra le banche. In questo scenario, le imprese che portano un maggiore profitto otterrebbero tassi di interesse più vantaggiosi, mentre i rami secchi delle imprese poco produttive (principalmente a controllo statale) sarebbero inevitabilmente tagliati. Senza contare che l’aumento degli interessi sui depositi privati, consentirebbe una disponibilità maggiore per i correntisti.

Non solo. Da tempo si vocifera, tra gli addetti ai lavori, che la Cina abbia in mente una strategia a medio termine molto più ambiziosa. Nell’eventualità di un ‘Grexit’, ovvero dell’uscita della Grecia dall’euro, e le possibili ripercussioni su divisa unica europea e dollaro, lo yuan potrebbe acquisire un’importanza fondamentale.

Non è un mistero che i governi di New Delhi e di Pechino stiano valutando da tempo un accordo che permetterebbe loro di denominare in yuan il proprio interscambio. Una strategia che permetterebbe alla Cina di testare la propria solidità monetaria e iniziare a scaldare i motori.

Qualora la spettacolare manovra riuscisse, ci troveremmo in una situazione in cui le banche centrali riverserebbero (buona) parte dei propri capitali nell’acquisizione di yuan, in un investimento ritenuto sicuro, in particolar modo se, come da più parti s’insinua, Pechino pare stia decidendo di  muovere lo yuan verso un (silenziosa) convertibilità in oro.

Al momento, si tratta di indiscrezioni. E’ perfettamente comprensibile che gli occhi dell’Europa siano puntati sulla Grecia, e che si cerchi in ogni modo di evitare il default di Atene e una sua uscita dall’euro. Ma la scalata dello yuan allo status di moneta riserva non è un’ipotesi così irrealistica, e vivere in un periodo storico in cui buona parte delle nazioni europee non puntano neanche più sullo sviluppo, ci dovrebbe far riflettere sul senso di quest’Europa che rischia di arrancare dietro a Usa e Cina, economicamente, politicamente e tecnologicamente, in un futuro non troppo lontano.