Mentre la Croazia entra nell’Ue la Serbia continua a dare i soliti problemi
15 Dicembre 2011
di Lavdrim Lita
Ho due notizie da darvi sui Balcani occidentali: una buona e una meno buona. Cominciamo con la buona: La Croazia dal 1° luglio 2013 diventerà il 28° stato membro dell’Unione Europea: i capi di Stato e di Governo della UE, infatti, hanno firmato a Bruxelles il 9 dicembre il Trattato di adesione della Croazia. “È un’occasione storica per la Croazia e l’UE nel suo insieme”, ha dichiarato il premier croato, Jadranka Kosor, ricordando come le riforme intraprese dal suo paese nel cammino di integrazione per la UE siano ormai irreversibili.
La firma del tratto completa un lungo processo di negoziazioni iniziato nel 2004, anche se il paese dovrà continuare a mettere in atto le riforme con cui si è impegnata con Bruxelles e la Commissione europea ha il compito di monitorare il percorso fino all’ingresso del Paese nell’UE. L’ingresso della Croazia completa la sesta fase di allargamento nella storia dell’Unione. La notizia meno buona si riferisce al fatto che la UE ha rinviato a marzo 2012 la decisione se concedere a Belgrado lo status di candidato. Il presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy, ha ammesso che la Serbia ha fatto “notevoli progressi” con “passi coraggiosi” che hanno portato all’arresto dei ricercati per crimini di guerra. Tuttavia i recenti scontri in Kosovo con l’attacco ai militari stranieri della Kfor hanno indotto alcuni Paesi tra cui la Germania a chiedere un rinvio.
E’ stata infatti la critica situazione e il persistere di forti tensioni in Kosovo a indurre la Ue a rinviare a marzo la decisione sullo status di candidato per la Serbia. Una decisione che ha avuto risvolti politici nel Governo di Belgrado, con le dimissioni del vicepremier responsabile dell’Integrazione europea, Bozidar Djelic. Per alcuni osservatori, il principale responsabile della mancata concessione alla Serbia dello status di paese candidato all’adesione alla Ue sarebbe il ministro degli esteri, Vuk Jeremic. Per alcuni osservatori, la posizione troppo rigida e intransigente di Jeremic sul Kosovo – a differenza di quella più morbida e moderata di Tadic – avrebbe contribuito a orientare negativamente la Ue sulla concessione alla Serbia dello status di paese candidato.
Ma per Ivica Dacic, vicepremier e ministro dell’interno serbo, neanche a marzo Belgrado otterrà lo status di paese candidato alla UE poiché per l’adesione all’Unione europea la Serbia dovra’ riconoscere l’indipendenza del Kosovo. “Non si può più mentire o raccontare favole. E’ questo che ci chiedono (il si’ all’indipendenza di Pristina,)’”, ha detto Dacic. Parlando con i giornalisti a margine di una conferenza oggi a Belgrado, il vicepremier ha accusato la comunità internazionale di aver tradito le attese dei serbi. ‘”Se la UE non intende andare avanti con l’allargamento, che lo dica apertamente”’, ha affermato Dacic il quale ha sottolineato di essere favorevole al proseguimento dell’integrazione europea del paese, nel rispetto tuttavia degli interessi e della dignità del popolo serbo.
Tuttavia la doccia fredda per Belgrado significa che il Presidente serbo Boris Tadic deve rinunciare all’illusione di poter perseguire allo stesso tempo una politica revanscista nei confronti di Pristina e una di integrazione verso Bruxelles. La cosiddetta strategia "sia Kosovo che UE" ha portato la Serbia a un bivio storico. Scegliere l’Europa vuol dire andare avanti. Il contrario e’ fare marcia indietro verso conflitti etnici senza fine con molto sangue.