Metti un giretto d’Agosto per il mercato galleggiante di Cai Be sul Mekong
03 Settembre 2011
Il Mekong, fiume mitico e pulsante. Il suo Delta fertile (un ettaro di terra sul fiume è quattro volte più fertile di un ettaro di terra del nord del Vietnam a riso), marroni e inquinate le sue acque. Dolci i tratti delle sue donne, famose in tutto il Vietnam per la loro bellezza. Un proliferare di industrie per concime per itticolture, un odore pungente che assalisce il passante o il navigatore. Trascorrere qualche giorno sul delta è tappa obbligata per chi voglia comprendere il buen ritiro dei vietnamiti.
Isole con qualche strada, altre isolette non ancora cementificate e solo piastrellate per il solo transito degli ‘arcinoti’ motorini, case larghe più di tre metri (fuori dalle città le regole fiscali sulle case sembrano non avere molto inciso), piccoli angoli di paradiso ove perdersi, tra sedi “sgarrupate” del partito comunista vietnamita e allevamenti improvvisati di oche bianche, grandi e piccoli patii ove donne lavorano la canna da zucchero e uomini fannulloni pigreggiano sull’amaca, talvolta salutando gioiosamente il viandante indo-europeo, spesso ignorandolo.
Foresta tropicale. Banani e palme ovunque. Imbarcazioni per turisti che intrattengono i passeggeri con un antico motivo di Katyusha, la canzone padroneggiata dall’armata russa per addolcire la nostalgica rabbia degli uomini al fronte (il motivo che darà al tetro “Fischia il Vento” partigiano la sua musica viene da quella canzone).
Il Mekong si sveglia presto la mattina. Il mercato galleggiante di Cai Be è uno dei più noti mercati del Delta. Ogni barchina ha un suo ‘strillone’ e un arpioncino col suo frutto, da contattare, da assaggiare, da contrattare al kilo. Basta scappare presto, sono già le otto del mattino, il sole scalda e l’odore pugnace. Cercare un caffè sulla terra ferma, con il proprio scooter affittato a Saigon da una megera che ti voleva imporre di non uscire dalla città sennò il suo nuovo SH 150 si sciupa. Meglio andare a perdersi un poco a nord, a sei km da Cai Be. Piccolo villaggio di pescatori e commercianti di, i grandi litchi rossi e pelosi che vengono coltivati sul Delta.
E’ piccola il mercato sul fiume. In cemento. Stanno donne e uomini, disciplinati in un fare da catena di montaggio. Le barche arrivano al moletto e uomini con la maglietta arrotolata al pettorale (modello Brindisi porto per intenderci) scaricano quintali e quintali di. Le donne, silenziose e piegate sulle proprie ginocchia – come solo gli orientali sanno fare – infilano meticolosamente i frutti sodi e pelosetti (un altro nome per il chôm chôm è rambutan che viene dalla parola malesiana “rambut”, capelli) in abbaglianti scatole bianche di polistirolo, dirette con buona probabilità a Saigon.
Non ti resta che trovare il tuo piccolo angolo sotto il portico del mercato, fumare un sigaretta non lontano dal sol leone. Non puoi passare inosservato tra le signore e gli scaricatori del porticciolo. Ti sorridono inevitabilmente, per imbarazzo per civetteria. Non puoi dimenticare un bel paio di labbra femminili, donna bassa dagli occhi chiari e dai pochi denti rimasti. Un uomo si avvicina e ti porge due chôm chôm, per cortesia. La gentilezza vietnamita ha sempre qualcosa di imperioso e obbligante nel suo manifestarsi.
Per un europeo, non si capisce mai quanto la memoria orale dei vecchi, l’educazione nelle scuole e nel partito, finanche la propaganda in televisione, abbia inciso su quella durezza. Parrebbe dirti: “Ti offro questo, benché tu non l’abbia meritato, figlio degli aggressori”. Ti tocca sentirti responsabile per la colonizzazione francese in Indocina, una europeizzazione dei mali. La tua italianità ti protegge, ma poi neanche tanto. Un comportamento molto cristiano, come cristiana è la chiesa che sta a centro metri dal porticciolo, celeste pastello che suona la sua gaia campana ogni ora.
Le comunità cristiane del Vietnam sono molto numerose. Ci sono quasi 10 milioni di cristiani cattolici in tutto il vietnam. E non sono credenti “da scaffale”, di quelli che prendono quel che gli serve e lasciano il resto. Intenso pregare con loro. Andare a messa nella cattedrale di San Giuseppe a Hanoi è un’esperienza di comunione tra credenti, rara da ritrovare nella vecchia e despiritualizzata Europa. Ma questa è tutta un’altra storia.