
Mezzogiorno. Quagliariello: “Élite assente, mancano strategie”

26 Novembre 2013
Ministro Quagliariello, sul Corriere della Sera di ieri, Rizzo e Stella ammoniscono le classi dirigenti e denunciano l’abbandono del Mezzogiorno, una volta considerato serbatoio elettorale e oggi neanche più quello. Perché il Sud suscita tanta indifferenza?
«Prima c’erano i partiti e sin dal tempo di Giolitti c’era sempre qualcuno che proponeva strategie per comporre maggioranze politiche. Oggi esistono le primarie per la scelta dei parlamentari, e questo porta anche alla "disarticolazione" delle classi dirigenti e a una minore attenzione per il Mezzogiorno».
Anche se qui al Sud siamo ancora in attesa di un sindacato territoriale com’è stata la Lega per il Nord?
«Per il Mezzogiorno occorrerebbe un salto di qualità. Il vero sindacato degli interessi del Mezzogiorno è stata per decenni la pratica clientelare: attirare finanziamenti pubblici a pioggia. Gianfranco Miglio l’avrebbechiamata "democrazia calda", indicando con questa definizione la rete di scambi personali calata nel sistema dei partiti. Rispetto a questo orizzonte sono sopraggiunte due varianti storiche: la prima è che con la crisi dei debiti sovrani è finito il budget pubblico e quindi manca la materia prima per esercitare il sindacalismo territoriale; la seconda è che oggi non c’è più lo Stato che sovvenziona, come fu ai tempi della Cassa per il Mezzogiorno. Nel mondo globalizzato gli investimenti vanno lì dove possono fruttare, quindi occorre guardare più alla situazione di contesto – cioè alle condizioni di sicurezza, alle infrastrutture, alle erogazioni del credito e alla certezza del diritto – che alla forza lobbistica per ottenere un finanziamento. E in questo quadro è chiaro che l’investimento viene delocalizzato in un ambito di concorrenza più vasto, dove vi sono Sud più convenienti del nostro».
Dalla sua analisi pare che non vi sia speranza per il Mezzogiorno.
«In questo momento le possibilità di ripresa del Sud sono legate a due fattori: alla riforma degli strumenti della politica, poiché ritengo fondamentale abbattere l’asfissiante pratica delle intermediazioni, come i sette passaggi per varare una leggeche diventano assolutamente penalizzanti.E alla necessità di riprendere sul serio la vecchia battaglia sulla classe dirigente, ora più che mai».
Senza partiti e organizzazioni sociali come si fa a selezionare una nuova classe dirigente?
«Potrebbero nascere nuovi luoghi di confronto e di selezione delle idee, un contributo potrebbe venireanche dalle fondazioni. O i nuovi modelli di organizzazione politica. Quello che serve è comunque un "progetto giacobino" e per certi versi trasversale».
Giacobino?
«È un termine che non uso mai e per il quale provo orrore. Voglio direche sarebbe indispensabile il lavoro di élite di trenta, quaranta persone che in rete incominciano ad affrontare il problema politico del Mezzogiorno».
È riproponibile la questione meridionale in un mondo globalizzato?
«Solo a parlarne pare quasi esprimere un concetto provinciale. Eppure c’è stato un risveglio di attenzione per il Sud fino a cinque anni fa, dopodiché la questione meridionale è tramontata, non ne ha parlato più nessuno».
Perché?
«Perché c’è un difetto di riflessione. Va benissimo la documentazione di denuncia su come si sono spesi male i soldi pubblici e quelli europei. Ma dai tempi di Fortunato e Salvemini c’è sempre stato qualcuno che ha messo a punto delle strategie. Poi, queste strategie hanno prodotto esiti sbagliati, tuttavia quando si sono sedimentate qualcosa di buono lo hanno lasciato sul cammino di progresso del Mezzogiorno. Il guaio è che ora non c’è più nulla».
Manca una elaborazione intellettuale e politica?
«Secondo me sì, mancano anche i luoghi di elaborazione».
In Campania c’è chi sospetta che sull’allarme ambientale si possa innescare una guerra commerciale per sottrarre i marchi dop della mozzarella di bufala e del pomodoro. Cosa ne pensa?
«Le emergenze vanno affrontatea prescindere da tutto. Ma non è da qui che il Sud si riprenderà. L’attenzione sul Mezzogiorno può essere recuperata soltanto se i temi del Sud vengono inseriti nella grande questione globale del Sud del mondo».
Siamo passati dalla rivoluzione federale al nulla. Da ministro per le riforme qual è il provvedimento in agenda che potrebbe produrre benefici immediati per il Sud?
«La riforma più difficile, ma anchela più utile, è quella del titolo V della Costituzione. Uscire dall’equivoco sulle competenze e stabilirechi fa chi, dato che siamo in una sorta di policentrismo anarchico e deresponsabilizzante. Certo che questo vale per il Nord, ma lì c’è una tradizione civica che limita e bilancia l’anarchia. A Napoli,invece, si dice: ce mettimme ‘acoppa. Così ci si ostacola tra istituzionie il cittadino non sa con chi prendersela: se i bus sono fermi per mancanza di carburante, non sai se inveire contro il Comune, contro la Regione o direttamente contro la società di trasporto?»
Jacques Attali ha detto che per riunificare l’Italia sarebbe necessario fare come in Francia nel XIII secolo quando il re trasferì i funzionari statali del Nord al Sud e viceversa. Ritiene valida questa tesi?
«Non c’è meridionale senza capacità di integrazione. Il film "Benvenutial Sud" è la rappresentazione comica del luogo comune, ma racconta anche una profonda verità. Il Mezzogiorno ha tante risorse per risollevarsi, ma ciò che manca sono gli strumenti su cui sostenere una battaglia di rilancio».
(Tratto da Corriere del Mezzogiorno, intervista di Angelo Agrippa)