Mi chiamo Yoani Sanchez e vivo a Cuba, in una utopia che non è la mia

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Mi chiamo Yoani Sanchez e vivo a Cuba, in una utopia che non è la mia

16 Aprile 2009

Dalla casa alla nazione

Si avvicinano le elezioni del 24 febbraio 2008 e nelle strade della mia città sono in pochi a chiedersi chi sarà il nostro prossimo presidente. Ciò nonostante, compio l’inutile esercizio di annotare come vorrei che fosse la persona che andrà a rappresentarci:

1. Non voglio un militare alla guida del Paese (ormai lo sapete che sono allergica al verde olivo), preferisco i civili che non parlano di cannoni, ma conoscono ansie e difficoltà quotidiane.

2. Non desidero un altro leader «carismatico» (serve solo come soggetto fotogenico o per trasformarsi in idolo), ma un umile amministratore che custodisca le risorse del Paese e sappia mettersi al nostro servizio, senza volerci guidare per forza.

3. Mi piacerebbe una persona che alla fine del suo mandato cedesse il posto al nuovo eletto, o che noi stessi potessimo esautorarlo nel caso in cui cessasse di essere rappresentativo.

4. Sogno (e qui viene fuori il mio femminismo) una pratica donna di casa, che dai piani alti si preoccupi di ciò che mettiamo nei nostri tegami e che si dedichi a riconciliare i suoi «figli litigiosi».

5. Spero di non dover mettere in conto un altro forbito oratore, preferirei una rara specie di politico che sappia ascoltare.

6. Mi auguro che non venga eletto un padre – onnipresente e onnipotente – ma soltanto un presidente, del quale possa, liberamente, lamentarmi in pubblico.

In bianco

È dalle tre del mattino che non mi lasciano dormire. La pagina web del «Granma» ha pubblicato le ultime Riflessioni di Fidel Castro: da quel momento il mio telefono ha cominciato a squillare e io non ho più chiuso occhio. Non è facile pensare lucidamente quando si passa una notte in bianco, e infatti spesso mi tiro un pizzicotto per vedere se son desta. Neanche gli amici mi aiutano molto a svegliarmi, continuano a tempestarmi di domande, come se su quest’isola qualcuno potesse davvero fornire risposte.

Ho trascorso tutta la mia vita con lo stesso presidente. Persino mia madre e mio padre – nati rispettivamente nel 1957 e nel 1954 – non ne ricordano uno diverso da quello che oggi si è dimesso. Svariate generazioni di cubani hanno vissuto senza mai chiedersi chi le avrebbe governate. Anche adesso non abbiamo molti dubbi su chi andrà a occupare il posto più alto, ma almeno una persona sembra definitivamente fuori gioco. Come in certe pellicole di Alfred Hitchcock, siamo venuti a sapere, solo cinque giorni prima delle elezioni, che i nostri disciplinati parlamentari avrebbero avuto tra le mani una scheda elettorale diversa dal solito.

Questa volta non avrebbero dovuto mettere un segno accanto «al solito» candidato. Non mi reggo in piedi, ma capisco che oggi è la fine di un periodo. È bene chiedersi se il nuovo ciclo che comincia porterà i nostri nomi, prenderà la strada dei nostri desideri o durerà altri cinquant’anni. Per il momento chiudo gli occhi e già mi sento più leggera.

Alla ricerca della stele di Rosetta

Il discorso di Raúl Castro, durante la presa di possesso del suo nuovo incarico di capo del Consiglio di Stato e dei ministri, non ha dissipato i miei dubbi ormai cronici. La ripetuta citazione dei cambiamenti che verranno, senza renderli effettivi, e l’allusione alle proibizioni da eliminare – per il momento non specificate – mi ha lasciata molto perplessa.

Lo spazio di tempo che passa da «entro una settimana» a «durante quest’anno» per attuare alcune di queste manovre mi fa venire in mente l’agognato bicchiere di latte, promesso lo scorso 26 luglio e ancora assente dalla mia frugale colazione.

Ieri mi sono sentita come l’egittologo francese Champollion, mentre cercavo di decifrare ogni parola, ogni nuova persona entrata a far parte del gruppo di governo. Non sono riuscita a interpretare tutto quello che è accaduto, ma sono in grado di riconoscere alcuni indizi e possibili percorsi. Il fatto, per esempio, che José Ramón Machado Ventura adesso sia il vicepresidente, mi fa capire che le prossime mosse non si distingueranno per flessibilità e non seguiranno le opinioni della nuova generazione. Ortodossia, verticalità e fedeltà estrema sembrano essere le caratteristiche che meglio possono descrivere una persona che, circa dieci anni fa, firmò una ben nota misura per proibire gli alberi di Natale nei luoghi pubblici. La sua presenza come vice nonostante sia stato quello che ha ottenuto il minor numero di voti, seicentouno su seicentonove, scoraggia molti «entusiasti» del governo raúlista.

Mentre cercavo di adattare le parole del discorso alla quotidianità della mia esistenza, mi è venuta in mente quella «sospensione di gratuità (…) insostenibile». La frase mi ha convinto a lanciare una modesta proposta: cedo il chilo e mezzo di zucchero nero e bianco, i tre chili di riso al mese e il pacchetto di caffè che mi danno al mercato razionato, in cambio di un’ampia dose di libertà di espressione. È probabile che il mio bottegaio si spaventerà se presenterò la borsa per chiedere alcune once di «diritto di associazione», un paio di cucchiaiate di «libera opinione» e persino una piccola porzione di «possibilità decisionale». Magari mi sbaglio, ma è proprio così che mi sarebbe piaciuto interpretare il discorso di ieri. I geroglifici egiziani, nella maggior parte dei casi, risultano molto più facili da decifrare rispetto alla noiosa staticità della politica cubana.

Tratto da Yoani Sanchez, Cuba Libre. Vivere e scrivere all’Avana, pp. 171-174, Rizzoli 2009. Traduzione di Gordiano Lupi. Tutti i diritti riservati.