Miccichè sfida il Cav. e la Lega apre ma prepara le sue contromosse

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Miccichè sfida il Cav. e la Lega apre ma prepara le sue contromosse

27 Luglio 2009

Il Sud vuole contare di più, il Nord apre ma avverte. Azione concentrica su Palazzo Chigi, fibrillazioni nella maggioranza. Il quadro che ormai da qualche settimana ruota attorno alla questione meridionale, si traduce una nuova sfida per il Pdl  e in un’altra mission per il Cav.

Berlusconi è concentratissimo – dicono alcuni fedelissimi – sul piano per il Mezzogiorno che porterà al prossimo Consiglio dei ministri (probabilmente già venerdì) con l’elenco delle cose fatte, dei soldi stanziati, dei progetti in campo e quelle da fare per avviare “la fase due”: dalle infrastrutture strategiche a forme di fiscalità di vantaggio per rimettere in moto l’economia locale, attrarre nuovi investimenti; insomma rendere il Meridione più competitivo. Sa perfettamente, il Cav., di essere il punto di mediazione tra tutte (tante) le posizioni in campo, ma un conto è fare sintesi, altro è vedersi sui quotidiani un giorno sì e l’altro pure moniti e pseudo-ultimatum, cui si aggiungono i “segnali” in Parlamento. Come quelli di Lombardo e Miccichè, venerdì sulla fiducia al decreto legge anticrisi: il governatore siciliano con la sua pattuglia di deputati è uscito dall’Aula al momento del voto, mentre tra le file dei “miccicheiani” doc si contavano numerose defezioni (difficile pensare ai tradizionali “impegni improcrastinabili”). 

Stessa scena ieri, sempre a Montecitorio: governo battuto su un ordine del giorno Pdl-Pd presentato, tra gli altri, da due deputati siciliani della maggioranza: Fabio Granata  e Antonino Russo (entrambi pidiellini). Il governo aveva chiesto di riformulare l’ordine del giorno che lo impegna “ad individuare la città di Palermo come sede del Forum permanente sullo sviluppo nell’area del Mediterraneo”, subordinando a questo il parere favorevole. Ma i deputati che hanno presentato il testo si sono opposti e si è così passati alla votazione: 216 sì contro 210 no. Determinanti  sei astensioni, tra le quali quelle di alcuni fedelissimi di Miccichè.

Una conferma della linea aventiniana (il monito sulla costituzione del movimento  Forza Sud  e l’altolà sul decreto anticrisi lanciati sul Sole 24 Ore sono chiari) scelta, per ora, dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega al Cipe. Tutto questo, nonostante la disponibilità del Cav. a lavorare ad un piano “innovativo” per il Sud che si aggiunge ai provvedimenti già varati in questo anno e mezzo. La linea “dura” di Miccichè da un lato e di Lombardo dall’altro (i rumors di Palazzo non escludono alla fine una convergenza tra i due) non è piaciuta al premier che non l’ha mandata a dire, ribadendo con decisione il suo no al partito del Sud : “Non mi preoccupano le uscite e i comportamenti che sono con evidenza riconducibili a recriminazioni e a richieste di potere di tipo personale  e che si è invano cercato di coprire come fossero attenzioni verso il destino del Mezzogiorno”. Parole che bollano come velleitarie certe spinte sudiste – fuori e dentro il Pdl – e come tali sganciate dal contesto nazionale nel quale, invece, devono essere ricondotte ed elaborate.

Ma il punto è un altro: c’è nel primo partito nazionale una classe dirigente in grado di raccogliere le istanze legittime del Mezzogiorno per rilanciare un’azione politica efficace ed incisiva sul territorio? Per il momento, al di là delle dichiarazioni quotidiane dei vari esponenti del Pdl quello che c’è è il pacchetto di misure al quale il premier sta lavorando e il “manifesto” per il Mezzogiorno che impegna i gruppi parlamentari di Camera e Senato.

Fin qui, il Pdl. Ma la Lega non sta a guardare. Bossi apre al Sud e diversamente dal passato, oggi dice che la questione meridionale esiste e va affrontata. Tattica? Probabile, visto che il Carroccio in queste settimane è finito nel mirino di Lombardo e Miccichè, insieme al ministro Tremonti “colpevole” di non scucire le tasche per il Meridione. Sul piatto della politica che sta a cuore ai leghisti c’è infatti il grande capitolo delle riforme: dall’applicazione del federalismo fiscale che tuttavia nelle sue parti attuative potrebbe arenarsi proprio sui lidi siciliani, alle riforme istituzionali, solo per citare due macro-temi. Probabile che l’apertura nei confronti del Sud faccia parte di una strategia per ottenere da Berlusconi la stessa disponibilità sui temi cari al partito di Bossi (che qualche rivincita se la vuole prendere dopo la delusione incassata ad esempio sulla vicenda delle nomine Rai).

Probabile  rientri nella medesima logica l’esternazione del ministro leghista Castelli, per nulla gradita dai vertici del Pdl, quando ha detto che “se partito del Sud significa una Lega del Sud che vuole più autonomia e federalismo e non più sprechi, ben venga. Se invece deve nascere il partito del Sud per l’antico meridionalismo piagnone, allora non ci siamo proprio”. A sentire i commenti dei leghisti in Transatlantico la tattica “è l’arte della politica” e il partito del Senatur finora ha dimostrato di sapervi ricorrere, eccome. Viene spiegata così anche l’uscita del ministro Calderoli sull’Afghanistan che ha rinfocolato la polemica col Pdl. “Pura tattica”, ripetono minimizzando alcuni parlamentari padani più preoccupati  per  le “mosse” in Aula degli uomini di Miccichè e Lombardo. E la riprova sta nel fatto che a un certo punto della giornata i big del Carroccio si sono passati un di ordine di scuderia: adesso stop alle dichiarazioni sull’Afghanistan.  

Oggi a Montecitorio il voto finale sul dl anticrisi, resta l’incognita su cosa farà la pattuglia dei deputati meridionali, intenzionati ad ottenere garanzie sulle modifiche al provvedimento in partenza per il Senato. Garanzie chieste e negate dall’esecutivo (Tremonti in primis) sulle quali ora il partito del Sud e il movimento per il Sud potrebbero concentrare il primo round di un match con Roma che già si preannuncia lungo. E imprevedibile.